Selvatichezza: spunti per una proposta educativa
Pubblicato su Il Barrito del Mammut maggio 2009
Questo articolo è un invito a considerare il potenziale educativo degli ambienti verdi meno strutturati, siano essi parchi, boschi, fiumi o campagne. Partiamo dal presupposto che una crescita armonica non può prescindere dal sapersi relazionare con la fisicità del proprio corpo e dell’ambiente, condizioni, in particolare la seconda, particolarmente trascurate nel nostro attuale stile di vita.
Nel contesto in cui viviamo, fuori dalle mura domestiche i bambini non sono sollecitati a fare esperienze fisiche se non estremamente controllate e ripetitive (pensate alla monotonia delle aree gioco risolte per lo più con la sequenza scivolo, altalena, castelletto). Neppure in giardino il bambino è invitato a un contatto con la natura, men che meno con quella selvatica e, laddove ciò sarebbe possibile, spesso usi e regole costrittive tendono ad evitare ed eliminare tutto ciò che non è sotto diretto controllo o strettamente previsto da un piano preventivo. Questo significa che il contesto d’azione proposto procede entro guide che danno poco spazio alla sperimentazione tipica del gioco. Perfino le attività nate per stimolare la creatività indicano percorsi strutturati e rigidi (vengono in mente i set per colorare e plasmare, quelli che offrono le formine insieme alla pasta morbida o gli album già disegnati assieme ai colori…).
L’immaginazione è una funzione dell’esperienza (Gianni Rodari)
Come Gianni Rodari, anche Bruno Munari sottolineava come la fantasia è mettere insieme in modo nuovo elementi conosciuti, diversi tra loro: la mela, il vetro… una mela di vetro che si rompe se si mangia. Di frequente l’adulto percepisce un gioco tanto più efficace, quanto più costringe il gioco stesso in schemi previsti. Al contrario è l’assenza di schemi imposti che apre la mente a nuove possibilità.
Il contatto con le persone viene sempre più spesso sostituito da contatti virtuali, che evitano conflitti e rapporti reali. Inoltre il contatto col proprio corpo viene sostituito dalla virtualità di giochi elettronici sempre più raffinati e costretto in limiti dettati dalla paura delle malattie, delle ferite e di tutto ciò che di negativo e di imprevedibile la fisicità può portare. Ne consegue uno sviluppo astratto della persona e dei suoi rapporti, la perdita di consapevolezza di appartenere ad un luogo e ad un tempo, l’ignoranza della potenzialità delle proprie capacità e di conseguenza l’inibizione dell’autonomia. In questo scenario, il gruppo non si forma come gruppo cooperativo consapevole della propria capacità di produrre progetti ma come gruppo omologato e di forza attaccato ad oggetti simbolo, oggetti magici capaci di riempire il vuoto che nasce dal sentirsi inadeguati o esclusi. Il possedere si sostituisce al creare e alla cooperazione sociale.
Selvatichezza come proposta
Riteniamo che sia utile e importante offrire ai bambini, via via in modo fruibile a seconda dell’età e dei diversi gradi d’esperienza, una presa di contatto con quelli che chiamiamo ambienti selvatici: luoghi verdi non troppo sfruttati o non definiti da altre attività. Negli ambienti selvatici l’esperienza è condivisa da adulto e bambino. Sono spazi che offrono dunque una grande occasione di conoscenza reciproca e di contatto libero.
Tuttavia cercarli, andarvi insieme non è usuale: può succedere che sia il bambino sia l’adulto non sappiano cosa fare in un ambiente estraneo alla loro vita e l’ inesperienza può produrre “incidenti” capaci di segnare entrambi profondamente in modo negativo.
In luoghi selvatici probabilmente un bambino sarà attratto da bastoni, sassi, acqua e pozzanghere, bestiole di vario genere. Molto spesso l’adulto, che ha perso da tempo -o non ha mai avuto- il contatto con la natura, entra in ansia: acqua e pozzanghere sporcano e fanno ammalare, sassi e bastoni causano ferite, le bestie non si conoscono e possono essere pericolose. Poi ci sono i rifiuti, i maledetti rifiuti, moderna materializzazione del veleno della vita.
Quali sono invece le prime esperienze positive possibili del bambino? Valutazione di pesi, dimensioni e ingombri degli oggetti, percezione delle proprie possibilità rispetto ad essi; percezione del pericolo, del rischio, della presenza degli altri; relazione con gli animali (distruzione, gioco, accudimento); percezione del proprio corpo e del proprio sentire; coscienza della conseguenze del proprio agire (rompere un ramo, ferire un animale, offrire un fiore, costruire una capanna); sviluppo di diverse abilità e del coraggio di porsi nuove mete.
Noi non proponiamo che l’adulto si deresponsabilizzi dalla sorveglianza del bambino ma, previa conoscenza del territorio e definizione di regole minime condivise con i piccoli, permetta che si svolga una esperienza così importante per la crescita.
Per gradi
Ci rendiamo conto che questa proposta ha come premessa per l’adulto un lavoro su di sé per fronteggiare l’ansia rispetto ai rischi e alle difficoltà che il bambino corre. Il bambino stesso potrebbe scoraggiarsi per i fallimenti delle sue imprese, convincendo l’adulto a recedere dalla proposta. Ma fa parte proprio di un buon processo educativo imparare ad affrontare e superare i propri limiti e ad entrare attivamente nel gioco, inteso come invenzione e scoperta continua e non come passività e apatia.
Crediamo che un bambino non educato a superare le frustrazioni oggettive e i fallimenti, i graffi, le difficoltà impreviste, e a considerare i successi come tappe positive, sia un bambino deprivato. Per sciogliere sia le difficoltà del bambino, sia quelle dell’adulto, è opportuno che l’esperienza sia affrontata gradualmente e termini sempre con una gratificazione. Ad esempio, in un primo tempo si aiuterà il bambino ad arrampicarsi fino ai primi rami bassi di un albero, guidandolo, sostenendolo con la voce, con la fiducia, con indicazioni basate sulla propria esperienza e su quella costruita via via col bambino. Certo questo comporta qualche rischio di piccolo infortunio, ma non c’è meta senza spine e il bambino non cresce nell’autostima e non conquista nuove tappe se la sfida non pone la vittoria un filo sopra le sue attuali capacità. Nell’ambito di misure di sicurezza logiche e già praticate fin dalla prima infanzia, quando il bambino affronta i primi passi, una botta o un taglietto non hanno mai creato grossi problemi.
Ne nasce un circolo virtuoso che, attivato da un nuovo obiettivo, coinvolge la gestione dell’ansia, l’attivazione della fantasia e delle capacità motorie, la passione, e alla fine porta a un nuovo successo. Schematicamente, si possono elencare i passaggi in questo modo: gestione dell’ansia –>sfida –>prova –>ricerca di una soluzione –>accettazione positiva dell’insuccesso –>scelta di nuova prova, commisurata all’insuccesso –>sviluppo di nuove capacità fino al successo –>soddisfazione –>desiderio di nuove sfide. La soddisfazione condivisa con l’adulto sta alla base del ripetersi di questo processo.
Ciò è una conquista di adulto e bambino insieme: viene dal confronto continuo e dalla conoscenza reciproca che si forma via via che l’esperienza si dipana. L’adulto ha tempo di osservare il bambino, di seguire lo sviluppo delle sue capacità, di godere della sua crescita, imparando ad indirizzare le nuove sfide. Il bambino percepisce la fiducia e la presenza partecipe dell’adulto e si sente più forte e in grado di osare di più. Oserà troppo? Noi pensiamo che una esperienza vissuta sulla propria pelle, che attraversa paura e sbucciature, renderà il bambino via via più capace di fermarsi dove la prudenza lo richieda e di osare dove il coraggio lo consenta.
Un passo successivo potrà essere quello di allargare l’esperienza a un gruppo di amici: è chiaro che il gruppo ri
chiede una attenzione maggiore, una maggiore gestione dell’ansia, una più attenta conoscenza delle proprie dinamiche di adulto nei confronti dei problemi che si pongono e una scelta consapevole del gruppo con cui fare l’esperienza.
Nelle immagini visibili nei link indicati, è riconoscibile l’attivazione dei bambini, la curiosità, l’interesse e la creatività con cui usano diversi materiali e l’ambiente stesso, l’intensità del rapporto che si crea con gli animali e la complicità di gruppo che nasce intorno all’esperienza.
Il processo educativo di adulti e bambini insieme è fatto sempre delicato e sempre personale e intimo. Queste righe non intendono dare rotaie certe ma anzi essere spunto di molti percorsi possibli. Il terreno di esperienza della selvatichezza non può essere artificialmente creato ma paradossalmente cessa di essere tale quando cade sotto una progettazione che irrigidisce il principio stesso di cui si parla.
Emanuela Bussolati, Paolo Tasini, Cecilia Tagliaferri
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