La memoria dei fiumi

…Leonard raggiunse la zattera a nuoto e da lì si tuffò giù, nel profondo del mare. Quando riemerse, urtò «un omone con un faccione rosso che veniva al largo dalla spiaggia. Mi scusai e lui mi disse, quasi con noncuranza: “Allora è guerra, ha sentito?”» e così fu, benché a causa del tremore alle mani Leonard non andò al fronte, ma pubblicò libri e lavorò al servizio del partito laburista, dedicandosi alla causa della pace mentre sua moglie e il mondo si disgregavano. Povero Leonard. Quando morì nel 1969 era già convinto che i barbari avessero ormai sfondato le porte dell’Impero e io me lo immaginavo mentre camminava disperato su questa spiaggia, con le spalle strette incurvate, perché amava l’umanità in senso generico ma non era poi così affezionato alle sue incarnazioni individuali, che trasudavano crema solare circondate dai loro pargoli strepitanti.
A quel punto mi alzai e voltai le spalle alla folla; salii in cima all’argine e mi feci strada con cautela in un canaletto superficiale che tirava più o meno verso est. Era, immaginai, quel che restava del torrente di Tide Mills, un alveo secco che forse ospitava un rigagnolo quando le mareggiate invernali erano particolarmente intense. Mi voltai a guardare il villaggio distrutto, le case che sprofondavano fra i ciottoli. I molti destini di Tide Mills sembravano possedere un che di emblematico, una lezione che, se solo fossi riuscita a coglierla, avrebbe potuto farmi un gran bene. A colpirmi, invece, fu la sensazione di stare osservando tutto di scorcio, come se persino il mio tempo stesse già sprofondando lontano dalla mia vista. Se potessimo gettare una rapida occhiata alle persone che un giorno cammineranno fra le nostre rovine credo che ne saremmo paralizzati, come gli uomini sull’isola delle sirene che rimasero seduti sul loro prato fiorito incapaci di muovere un muscolo o tirare un sospiro finché la pelle non si staccò a brandelli dalle loro ossa.
È una benedizione che il tempo scorra solo in una direzione, che possiamo vedere solo le ombre del passato e nulla del futuro. Tutti però abbiamo un sentore di cosa ci aspetta, perché davanti alle rovine delle epoche trascorse è chiaro che il tempo concesso a noi non è altro che il volo di un’ombra e che le nostre vite (anche questa è un’espressione di Derek Jarman?) corrono come scintille tra le stoppie. La tenacia dei nostri resti fisici, la loro riluttanza a scomparire del tutto, contrasta con qualunque scintilla ci dia la vita, poiché la collocazione di tale scintilla dopo la morte è un mistero ancora da svelare. Cos’è questo mondo, in realtà? Ci dicono che abbiamo un numero infinito di scelte eppure vi sono tante e tante cose che accadono al di là dei limiti del nostro controllo… Non sappiamo per quale motivo ci troviamo depositati quaggiù e, anche se possiamo scegliere il momento di andarcene, nessuno di noi può modificare la posizione che ci è stata assegnata nel tempo, né riportare indietro coloro che amiamo una volta che hanno smesso di respirare. Per recuperare i morti non sono stati inventati programmi, né pozioni, né incantesimi, da quando Cristo si mise sulla soglia della tomba di Lazzaro e gridò Vieni fuori! I morti sono andati in qualunque posto vadano e anche in questo momento dimenticano i nostri nomi, come si dice abbia fatto Anticlea, la madre di Odisseo, finché non ebbe bevuto dalla fossa in cui il figlio aveva versato il sangue di un ariete e di una pecora sacrificali, e così riguadagnò per un istante la parvenza di un cuore umano.
Possono sembrare pensieri tristi, ma mi riempivano di una strana euforia. Nulla importa, diceva Leonard, eppure tutto importa. Giù nel letto del fiume, in questo territorio di scomparse, mi sarei potuta perdere in qualsiasi momento. Le cose che sopravvivevano in quel luogo sopravvivevano contro ogni previsione, sbocciavano nella morsa del vento, fra i banchi di ciottoli in perenne movimento. Le piante spuntavano dai sassi come per il trucco di un prestigiatore, le loro radici si facevano largo fino a raggiungere sacche nascoste di terreno sabbioso: il pepe dei muri bianco e giallo con i fiori simili a stelle; le foglie lanceolate e i petali esagerati del papavero giallo; i grandi affioramenti di laminariali, con le foglie scolpite nelle forme più stravaganti dall’implacabile vorticare dell’aria. Mentre gironzolavo, sgranocchiai una mela. Non si vedeva un’anima, anche se sapevo che dietro ogni cresta c’erano torme e torme di persone. Non volevo tornare a casa, vero, ma lì in quel momento la mia felicità era più perfetta che mai, in quel passaggio scoperto sotto la cupola azzurra del cielo, mentre percorrevo il tratto di strada che mi era stato concesso, con l’inverno dietro e davanti a me.

Settanta anni dopo che Virginia Woolf fu inghiottita dalle acque del fiume Ouse, Olivia Laing iniziò a percorrere le rive del fiume dalla sorgente al mare. Un viaggio solitario di quarantadue miglia riportato in questo libro denso e piacevole.

Scrivo questo post perché in questi giorni folli mi si è incollato, il ricordo che fa Olivia di Leonard, il marito di Virginia, che si tuffa in mare e riemerge accolto dalla notizia della guerra. Provo molta pena per come la nostra umanità ancora si manifesta in tutta la sua follia. Assieme a Gita al fiume ho ripreso dalla mia biblioteca gli scatti earth-body works di Ana Mendieta.

©️The Estate of Ana Mendieta Collection, LLC.
Come Olivia, come Ana, cerco tra le pieghe, le memorie dei miei fiumi. Accarezzato dall’acqua in movimento sento passare un pensiero, vivo e stranamente fiero. La resistenza è lavoro e fatica, compassione e sudore, solidarietà e stupore.
Coraggio!

Pesca in primavera al Pont de Clichy (Asnieres), 1887
Interessante!