The Overstory (il sussurro del mondo)
Per tutto l’inverno si è sforzata di descrivere la gioia del lavoro di una vita intera e delle scoperte che si sono consolidate in pochi, brevi anni: di come gli alberi comunichino l’uno con l’altro, nell’aria e sotto terra. Di come si prendano cura e si nutrano a vicenda, orchestrando comportamenti condivisi attraverso connessioni nel suolo sottostante. Di come costruiscano sistemi immunitari estesi quanto una foresta. Dedica un capitolo intero a descrivere nel dettaglio come un ceppo morto dia vita ad altre innumerevoli specie. Rimuovere il tronco significa uccidere il picchio che tiene sotto controllo i punteruoli che ucciderebbero gli altri alberi. Descrive le drupe e i racemi, le pannocchie e gli involucri cui una persona potrebbe passare acconto senza accorgersene. Racconta come da un ontano dalle pigne legnose si raccolga oro. Di come un noce americano alto due centimetri e mezzo possa avere una radice profonda quasi due metri. Di come la corteccia interna delle betulle possa nutrire gli affamati. Di come un amento del carpino bianco abbia diversi milioni di grani di polline. Di come i pescatori indigeni usino foglie di noce frantumate per stordire e catturare i pesci. Di come i salici ripuliscano il terreno dalle diossine, dai PCB e dai metalli pesanti.
Illustra come le ife fungine – infiniti chilometri di filamenti ripiegati in ogni cucchiaio di terreno – riescano a far aprire le radici degli alberi e ad attingere a esse. Come i funghi collegati alimentino i minerali degli alberi. Come l’albero contraccambi queste sostanze nutruienti con gli zuccheri, che i funghi non riescono a produrre.
Powers, Richard, Il sussurro del mondo (The Overstory), W. W. Norton & Company, trad. Licia Vighi, Milano, La nave di Teseo, 2019, pag. 293.
La luce si raccoglie in manciate macchiettate sul viso. Non ha quasi chiuso occhio, ma si sveglia riposato in un modo generalmente riservato alle persone laboriose. Si gira dal suo lato e solleva la tela cerata. L’intero spettro cromatico si riversa dentro, dalla tonalità blu a quella marrone, da quelle verdi alle incredibili tinte dorate. “Guarda!”. “Vediamo.” La voce di Olivia, sonnolente ma impaziente, soffia nel suo orecchio. “Buon Dio.”
Guardano insieme: agrimensori funamboleschi di una terra appena scoperta. Lo spettacolo gli scioglie il cuore. Nuvola, montagna, l’Albero Cosmico, e la foschia – tutta la ricca e complessa solidità della creazione che, per prima cosa, ha dato origine alle parole – lo lascia intontito e muto.
Powers, Richard, Il sussurro del mondo (The Overstory), W. W. Norton & Company, trad. Licia Vighi, Milano, La nave di Teseo, 2019, pag. 353.

The Overstory costringe i suoi personaggi umani (e i suoi lettori) a impegnarsi in dimensioni narrative sempre mutevoli, stranianti. Gli alberi, escluso il prologo, non parlano, ma sono presenti, sono soggetti, attraverso lampi di visione, sogni, incubi, incidenti banali come il ramo di pruno che sbatte in faccia a Stephanie sul marciapiede di Hyde Street.Tutti i modi in cui ci immagini – mangrovie stregate su trampoli, l’asso di picche capovolto di noce moscata, i tronchi nodosi degli alberi elefante, il missile dritto di un Shorea robusta – sono sempre delle amputazioni. La tua specie non ci vede mai interi. Ti manca la metà e anche di più. C’è sempre tanto sotto terra quanto sopra la superficie.


Come suggestione personale per avvicinarsi alla lettura di Overstory vi propongo le pitture di Walter Spies a partire dal quel maestoso, misterioso, Sumatran Landscape qui di seguito.
Nantu. Seeds of Resistance. Photo by Albarerega
Risalendo il fiume, gli Achuar – il popolo del palmizio – cantano ai loro giardini e alle loro foreste, ma di nascosto, nella loro mente, per farsi sentire soltanto dalle anime delle piante. Gli alberi sono i loro simili, con speranza, paure e codici sociali, e il loro obbiettivo come persone è sempre stato quello di affascinare e sedurre creature verdi, di conquistarle in un matrimonio simbolico.
Come giardiniere mi seduce l’idea di un giardino che, come nella cultura degli Achuar, coltivi una dimensione intima, silenziosa; di uno sguardo che, lontano dal possesso, apra all’incanto e allo spazio della vita interiore; di un giardino teatro di silenzi e di voci, di occhi improvvisamente connessi, di abbracci, anche furtivi.