Le foglie cadono senza fare BUM

Tempo di Grandi Cocomeri che sorgono dall’orto e regalano desideri, più che l’avverarsi degli stessi. Tempo d’autunno, nel quale è tutto un lasciare, ridurre, per conservare energie. Fra poco, il riposo di chi ha già rinvasato, seminato, pacciamato… E io che sono al giro di boa del mio vero capodanno, visto che ho creato il mondo il 31 di ottobre, mi trovo a pensare che vorrei liberarmi anche io di un sacco di cose, come fanno le latifoglie. Le foglie cadono senza fracasso, per alleggerire l’albero, che pare non esservi particolarmente “attaccato”.

Mi trovo sguardo nello sguardo con Tobia che invece ha inventato il mondo solo tre mesi fa: di quante “foglie” lo caricheremo?

Da quando siamo piccoli veniamo educati ad avere amore per le persone e le cose che abbiamo vicino, a tenerle con cura, a conservarle per avere legami affettivi con la nostra storia e con gli altri. Abbiamo amici,  cose,  lettere,  appunti,  libri (ma quanti!),  fotografie, ricette, siti, film… fino a quando, tutto questo avere si sovrappone all’essere come una seconda pelle: possedere, aver diritto ad avere.

Poi… sentiamo che dobbiamo alleggerirci e allora che fatica! Come si è attaccati alle nostre foglie! Ogni separazione è una rinuncia e rischia di diventare rimpianto.

Erich Fromm ne fa l’argomento di uno dei suoi libri più celebri. Ed entrambi gli estremi sono negativi. Ma, con meno esperienza psicoanalitica, tento di capire se in un mondo tanto metropolitano e virtualizzato si possa educare più all’essere che all’avere.

La selvatichezza (ebbene sì, ritorno lì) può essere una modalità educativa che aiuti in questo percorso?

Il piacere di conoscere un territorio, di percorrerlo, giocarlo, impararlo, può portare al rispetto per quel territorio, all’amore per ciò che offre, al desiderio di conservarne dinamicamente la bellezza, senza il bisogno di possederlo, mettere dei recinti, escludere?

E tutto ciò può portare a un atteggiamento di vita che più serenamente lascia le sue foglie per andare incontro ai cambiamenti in leggerezza ma non superficialmente?

Non so se la coltivazione degli orti e dei giardini ora tanto promossa nelle scuole ma così da lungo auspicata dai pedagogisti come Rudolf Steiner, Giuseppina Pizzigoni, Maria Montessori abbia la stessa valenza. Direi di no. L’orto o il giardino educano all’attenzione, alla responsabilità finalizzate a una raccolta, a una gratificazione produttiva. A un possedere, sia pure per donare.

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Non siamo gli unici a sentire il bisogno di educare alla selvatichezza: Roots (ottobre 2006), una interessante rivista di Botanic Gardens Conservation, scaricabile cliccando Roots 3.2, espone esperienze e riflessioni interessanti su questi temi.

La selvatichezza (che non metto in alternativa ma come altra esperienza) educa al rispetto, alla responsabilità e alla condivisione che vengono dalla appartenenza al territorio. Un abitare da nomadi. Leggero come le capanne di frasche. Come una foglia che cade, senza fare BUM.

Comments
14 Responses to “Le foglie cadono senza fare BUM”
  1. Paolo ha detto:

    Stupendo Emanuela! Che bello: siamo infine al cuore della riflessione.

    Mi sento come su un sentiero di montagna quando d’improvviso un paesaggio si svela e con esso il senso di un cammino, di una fatica.

    Siamo qui: un poco stanchi un poco rotti ma in tasca abbiamo un pieno di foglie: sono allegre, hanno colori e forse davvero possiamo imparare… Come dici tu: a cadere, senza fare BUM 🙂

  2. gatto silvestre ha detto:

    Gentile Emanuela,
    non desidero incartare le sue ottime considerazioni con una bassa faccenda semantica, ma quel “educare alla selvatichezza” non le suona un po’ contraddittorio? Se puntassimo su “invitare”, “promuovere”, “aprire” o “SCATENARE” la/alla medesima?
    Non lei, o l’Amministratore, ma sa quanti sarebbero pronti a infilare il calzone corto e il foulard per forgiare tanti nuovi Huckleberry Finn, traditi dallo zelo di educatori?
    La prego, mi dia retta: è il Gatto in me che le parla …

  3. rosmarina ha detto:

    la nostra vita in fondo è un raccolto e il miglior raccolto è un essere umano libero e lasciarlo andare.
    buon anno nuovo Emanuela

  4. emanu ha detto:

    Caro Gatto, “educare alla selvatichezza” non è affatto contradditorio. Devo dire che ci ho pensato un bel po’ prima di usare quella parola, così abusata. No, va proprio bene, se si va al suo vero significato. Sempre l’umanità è furbescamente pasticciona e a poco a poco il significato delle parole cambia, a seconda degli interessi o del bisogno di trombonismo. Ma “educare” viene da “educere”: un lavoro più simile a quello della levatrice. I francesi hanno una bellissima (e giardiniera) espressione per parlare della crescita di una personalità: “epanouir”. Sbocciare forse è impreciso. Ma Freinet spiegava bene il compito di un educatore, genitore, amico, adulto o coetaneo che sia: è il compito di dare la possibilità alla pianta di crescere al meglio delle sue possibilità. Questo mette a posto tutto: ogni bambino, di qualsiasi colore e tipo e di qualsiasi situazione di salute non può sopravvivere senza qualcuno più grande di lui (ma a pensarci bene, che vita triste, anche per un grande, se è isolata). Ma sopravvivere non basta. Per vivere ci vuole lo spazio umano dell’attenzione a percepire che tipo di pianta sta sviluppandosi, di che cure ha bisogno, di quali associazioni può beneficiare, di cosa si deve nutrire spiritualmente oltre che fisicamente. Senza attenzione, l’educazione diventa proiezione dei desideri dell’adulto oppure costrizione (che non è poi così diverso). Di queste cose il bambino non è consapevole, fino a quando da adulto sente il disagio di un abito (e di abitudini) che gli è stato calzato addosso ma che non gli sta. Oppure si arrocca in quell’abito e, pur standoci male, vi si adatta, difendendosi da qualsiasi dubbio.
    Educare alla selvatichezza significa allora solo avere ascoltato e osservato un essere vivo e terrestre, che come tutti gli esseri ha bisogno di esplorare e confrontarsi con il suo mondo, il suo corpo, gli altri, in luoghi che non siano solo i muri e i cieli a quadretti, perché ha un DNA che si è confrontato con spazi liberi, con leggi naturali, per milioni di anni. Un Pinocchio che desidera riconosciuta la sua essenza di albero, prima di essere preso per il naso da un Gatto (ooops, pardon) o da una Volpe e appeso a un albero. Solo così, vedendosi riconosciuto nei suoi aspetti più profondi e antichi, può educarsi a una vita sociale positiva e utile al bene comune. Nulla di tutto ciò ha legami con la parola “scatenare” o con quelle da minuetto: “promuovere” aprire””invitare”. La prima significa considerare che ci siano delle catene da spezzare. No, anzi, non bisogna incatenare. Marcello Bernardi diceva che la buona educazione e l’etica non si insegnano, si assumono osmoticamente. Un bambino senza limiti è un bambino che non riceve cura. Un bambino che conosce i limiti opportuni può sbocciare, con lo spazio necessario ad aprire ben bene cuore, azioni e progetti.Un bambino incanalato, assuefatto, intruppato, è un bambino incatenato.
    Per finire, Huck era un mito. Forse è lui, invece del Gatto, che dovrebbe ascoltare, caro Gatto silvestre… 🙂
    Rosmarina, grazie dell’augurio. Penso che la libertà si coltivi e si debba lasciarla coltivare. 🙂

  5. patrizia ha detto:

    stavo ascoltando Charles Trenet…boum…quand mon coeur fait boum…mi è piaciuta molto la frase “educare alla selvatichezza”,educare come contrario di insegnare,naturalmente.
    Io abito davanti a un monte che si chiama “qual d’l’umarein selvadg”:in questi giorni è diventato tutto oro rosso ed è veramante sontuoso.Viva la selvatichezza !

  6. gatto silvestre ha detto:

    Gentile Emanuela,

    esco un momento dalla sala da ballo per dirle che, effettivamente, ho sbagliato. Non avrei dovuto invitarla a cambiare il termine “educare”, in quanto espressione di una formazione specifica e di una sensibilità personale verso cui sempre va osservata devozione.
    Mi sarei dovuto limitare a dire come la penso senza chiederle di mollare la mattonella.
    Per fortuna lei mi ha seguito sulla cattiva strada e adesso mi sento più leggero. Perché mi ha proposto come maestro di selvatichezza un personaggio letterario (un mito, quindi una metafora umana) al posto di un gatto, nel fondo l’irriducibile anarchico.
    È stata una svista, oppure ho già trovato il recinto nascosto ai margini della foresta?

  7. emanu ha detto:

    Ahi , ahi, prendo sempre troppo sul serio questi dibattiti… e sono inguaribilmente fuori dai margini della mattonella.
    Lei Gatto, come sta in pantaloni corti? 😉
    Patrizia, la denominazione di quel monte mi interessa molto. A quando risale? Dunque ci abitava un “uomo selvatico” (né Pinocchio, né Huck in questo caso). C’è un bellissimo libro sugli Uomini (e donne) selvatici: L’ uomo selvaggio. Antropologia di un mito della montagna di Centini Massimo, edito da Priuli Verlucca.

  8. gatto silvestre ha detto:

    Benissimo, grazie.
    E non metto i parastinchi per entrare nei roveti…
    Un abbraccio.

  9. nuvola esule ha detto:

    qualcuno mi può aiutare? so poco di internet, premetto, e di navigazione. mi ero imbattuta in un post che trattava di clematidi, con foto e ambientazioni suggestive. non riesco più a scovarlo, ahimè… ero partita da qui, attraversogiardini…
    grazie

    • Paolo ha detto:

      Ciao Nuvola Esule (che bel nome hai 🙂 ) Purtroppo così a braccio non riesco a ricordare qualcosa che riguarda le clematidi scritto qui su Attraverso Giardini. Forse hai cliccato un articolo dei siti che leggo e che segnalo come più interessanti grazie a quella meraviglia che si chiama Google Reader. Prova a dare un’occhiata qui:
      http://www.google.com/reader/shared/paolo.tasini

  10. nuvola esule ha detto:

    grazie, Paolo… sì, l’ho ritrovato… sono capitata qui per caso, e vengo spesso a curiosare essendo appassionata di natura in genere, ho una grande terrazza e da poco mi occupo del giardinetto della casa dei miei)… ma non so ancora bene come funzioni questo spazio…
    approfitto dunque della tua cortesia per chiedere cosa fare delle foglie cadute sul prato (selvatico)… toglierle o lasciarle come pacciamatura o che altro??
    merci beaucoup…

    • Paolo ha detto:

      Potendo pacciamatura naturalmente. Prima però, le foglie, lasciale un poco sul prato: c’è qualcosa di più bello di uno scorcio di verde colorato di autunno? 🙂

  11. nuvola esule ha detto:

    beh, sì, è proprio quel che penso anch’io… graziegrazie :))

  12. patrizia ha detto:

    il luogo “dell’uomo selvatico” si trova a Vidiciatico,in provincia di Bologna,sull’appennino tosco-emiliano,la traccia è una scritta misteriosa incisa su di un masso,di qui ci sono passati tutti…liguri,celti,etruschi…viaggiatori e briganti.
    Una piccola notizia: qui ci sono gli asfodeli.
    Patrizia