Per cortesia

Si, ogni giorno che passa senza risposta su Poranceto mi innervosisco sempre più e mi gingillo con fantasie da vendicator solitario. Poi mi calmo e penso a chi ha più buon senso e conduce la sua battaglia con intelligenza. Gabriella Buccioli, di fronte a manutenzioni che piallano qualunque forma ed espressione di bellezza vegetale, oltre a incavolarsi, come il sottoscritto, prova a reagire. Qui siamo a Loiano, pochi giorni fa, su una strada a scorrimento veloce. Gabriella vuol salvare un’aiuola vagabonda nata sul ciglio. I suoi gesti sono semplici e alla luce del sole: una pulita con il decespugliatore per sottolineare i confini della macchia, alcune canne per far capire all’operatore con la trincia che lì c’è qualcosa per cui fermarsi, un cartello che spiega a tutti perchè vale la pena non trinciare. Infine una telefonata ai responsabili delle manutenzioni comunali, senza sfida, solo per avvisare: è veramente bella quel’aiuola spontanea, bella e senza spesa. 🙂

Soldier Gardener, originally uploaded by Paolo Tasini.

Chi sono le belle d’aiuola? Nell’ordine: Achillea millefolium, Acinos arvensis, Anthyllis vulneraria, Dactylis glomerata, Thymus Serpyllum, Tragopogon pratensis.


Comments
15 Responses to “Per cortesia”
  1. lucio ha detto:

    lo so sono parte in causa e dovrei astenermi dal commentare ma…..

    quello che racconti con queste poche immagini valgono più di tanti libri e di tante conferenze. Sono la dimostrazione che qualcosa si può fare, ognuno nel proprio piccolo e se quell’ognuno diventasse una moltitudine sarebbe una rivoluzione, almeno nel paesaggio.
    In assenza, poi, di commenti su Poranceto, ne hai fatto uno tu, ritraendo Gabriella in una posa da guerriero vendicatore, di tutti i vecchi castagni umiliati e di tutte le bellezze assassinate in nome della consuetudine e della praticità.

  2. angela comuzzi ha detto:

    …Che bel sito! Straordinaria Gabriella… spero che questo Amore per le piante vagabonde e per le opere di Mamma Natura sia sempre di più contagioso …alla faccia dei diserbi chimici, dei giardini pronto effetto, del “pota il vicino così, e allora vuol dire che va bene…”, del veleno contro i preziosi lombrichi, del “bisogna potare…”, del “bisogna trattare…cosa vuoi che facciano le cocinelle…”( io lavoro nel verde pubblico e l’altr’anno una infestazione di afidi su solanum è stata completamente risolta da un vero e proprio Esercito di larve di cocinella, arrivate in pieno centro cittadino chissà da dove.) Alla facciaccia di tutti gli AntiNatura non bisogna mollare…Ciao e GRAZIE!!!

  3. chorima ha detto:

    Iniziativa bella e coraggiosa, ma scusate lo scetticismo, non penso che fare appello alla bellezza serva da deterrente. Il problema della “pulitura” dei cigli stradali, e del verde pubblico in generale, ha ormai raggiunto proporzioni allarmanti. Il margine piallato é sempre piú esteso, i metodi sempre piú brutali.
    Forse bisognerebbe porre alcune domande: chi decide e chi gestisce attualmente i lavori nel settore del verde pubblico? Chi da gli ordini senza fare neppure un sopralluogo? A quali ditte viene affidata la manutenzione? Chi ne verifica i risultati?
    Qualcuno (dei cittadini) si é mai chiesto se chi lavora nel settore del verde abbia la formazione e la preparazione adequate? (e non parliamo di sensibilitá). Se c’é bisogno di una laurea specifica per essere a capo della manutenzione del verde? Di un determinato percorso professionale? Di qualche conoscenza specifica? Che non tutte le piante si potano nello stesso modo e nella stessa epoca?
    Provate a chiedergli se nella loro vita hanno mai sentito parlare di Achillea millefolium, Acinos arvensis, Anthyllis vulneraria, Dactylis glomerata, Thymus Serpyllum e Tragopogon pratensis. Non penso che supererebbero l’esame.

  4. Angela ha detto:

    …e andrà sempre peggio, cara Chorima, dal momento che le casse comunali sono in forte riserva! Scusami se la metto sul personale, la mia vuole essere una semplice testimonianza, una considerazione, anche per cercare di sfatare certi luoghi comuni che anch’io avevo prima di iniziare a lavorare nel settore pubblico. Prima ho lavorato nel settore privato (viticoltura e floricoltura dall”86), sono perito agrario con un paio di specializzazioni successive al diploma. Vorrei chiedere a te: chi è che controlla tutto lo sfacciato sfruttamento che viene attuato sulla manovalanza nel settore agricolo privato? Io l’ho sopportato per anni: sottopagati, umiliati. Puoi non credere se vuoi. C’è solo da provare. Poi ho vinto il concorso, ed è stato come andare in paradiso: il rispetto del lavoratore (sono una semplice operaia specializzata)! Fino a qualche ci facevano seguire dei corsi di aggiornamento (BELLISSIMI!!!) tenuti nientemeno dai responsabili del Verde Pubblico Urbano di Torino. Il relatore, Luigi dall’Oste, prima di ogni lezione ci proiettava la diapo con una frase di Prust:” Il vero viaggio di scoperta non è andare verso luoghi lontani ma saper guardare con occhi nuovi!” E giù a parlare (e fare!) di nuove tecniche e di potatura e di trapianto e di manutenzione. Personalmente, sarò ridicola (me ne importa poco!) mi sveglio, ringrazio il cielo di avere la salute e il lavoro assieme a Mamma Natura. Cerco di fare meglio che posso, e così i miei colleghi. La critica di un cittadino mi pesa più di quella del Sindaco, è una sfida continua, perchè stai ore, fai fatica per preparare una aiuola o una fioriera, la fai, il giorno dopo la trovi devastata, piante sparite, strappate… al loro posto un giro ho trovato perfino bottiglie piantate.

  5. chorima ha detto:

    Cara Angela,
    Non capisco. Sei perito agrario, lavori nel settore del verde pubblico come operaio specializzato e te ne importa poco di potatura, trapianto e manutenzione?
    Comunque, senza voler entrare nel personale, vado alla tua domanda:
    “chi è che controlla tutto lo sfacciato sfruttamento che viene attuato sulla manovalanza nel settore agricolo privato?”
    Credo si tratti di un sistema marcio, completamente da rifare. Come regola generale, aggiungerei che la responsabilitá (e perdonami il cinismo) é anche di chi sopporta per anni. Inoltre, il Settore agricolo (produttivo) viene deliberatamente mantenuto nella miseria e, allo stesso tempo, paradossalmente sovvenzionato.
    Il problema delle aiuole devastate dall’inciviltá é una questione sociale e política. Ma forse chi si occupa della progettazione potrebbe cercare alternative alle aiuole di begonie e violette, meno laboriose e piú sostenibili.
    Sono sicuro che molti operai fanno il loro meglio, non credo sia questo il nocciolo del problema. L’operaio che é stato mandato a piallare il prato con il decespugliatore ha sicuramente fatto il suo meglio, peró, nel caso specifico, chi ha deciso di piallare un prato con varie specie ancora in piena fioritura?

  6. Angela ha detto:

    Gentile Chorima, bisogna essere sintetici e quindi mi sono spiegata male,mi importa e molto della manutenzione, del trapianto e soprattutto della potatura:non se ne può più delle capitozzature (vedi mutilazioni di Lagerstroemie, Platani, Albizie ecc…) Il grande Alex Shigo ha dato inizio ad una grande rivoluzione in fatto di potature, le sue teorie (sulla compartimentazione, sulla potatura a tutta cima ecc ) ci stanno educando a vedere con occhi nuovi, per dirla alla Proust. Si tratta di rispettare le piante che devono essere concepite come un bene di incommensurabile valore: dotarsi di un buon regolamento del verde,trapianti eseguiti con oculatezza, valutazione annuale della stabilità. Begonie e violette(usiamo molto la Begonia Dragon Wings e le violette tipo tricolor, praticamente perenni-a fiore piccolino) non richiedono molte attenzioni e sono molto generose…le usiamo come base, e poi se Mamma Natura ci mette in mezzo l’Anagallis,il Papavero,l’Oenothera,l’Echium o l’Oxalis…benvengano. Se prima, timidamente le lasciavo…dopo aver letto il libro della Buccioli si prende coraggio! Quanto c’è da imparare!Il gusto del bello si coltiva al pari di una pianticella: è importante la sensibilità di chi esegue le manutenzioni, spesso è lui che decide. Per questo è fondamentale la selezione accurata del semplice operaio che deve essere motivato e deve amare ciò che fa. Ingegneri e architetti saranno credibili se scenderanno in campo con noi: è l’unico sistema per accorgersi degli errori di progettazione che continuano a fare.

    • Paolo ha detto:

      Angela, finalmente una voce “operaia” che rivendica il diritto alla creazione, alla partecipazione del bello in giardino. Penso a chi in giardino esclusivamente pensa, progetta, ordina esecuzioni. Quanto bisogno di lavoro condiviso ci sarebbe…

      Ci sono progettisti in Italia che piantano fisicamente, insieme agli operai, qualcuna delle piante che scrivono sulla carta? Ci sono progettisti che fanno manutenzione delle loro opere? E’ ancora una perdita di “status” sporcarsi le mani con il lavoro fisico?

      Ecco un gran tema: grazie Angela 🙂

  7. chorima ha detto:

    Completamente d’accordo Angela. Ora capisco.
    Ingegneri e Architetti… e gli Agronomi?

    Si, il lavoro di progettazione e il lavoro in campo sono secondo me inscindibili.
    Per capire le piante bisogna piantarle, potarle, curarsi di loro; per capire i luoghi bisogna starci dentro, per capire il suolo bisogna zapparci. La qualitá dei giardini verrebbe migliorata tantissimo.
    La cosa che piú mi da soddisfazione é costruire con le mie mani ció che ho creato. L’uomo ha sempre fatto cosí. Poi, decenni di progresso, hanno separato le due cose: lavoro intellettuale e lavoro manuale, l’uomo in entrambi i casi é stato privato di una parte di se.

  8. Angela ha detto:

    Cari Paolo e Chorima, grazie infinite per aver portato delle riflessioni così limpide e condivisibili. Quando parlo della mia esperienza come operaia nel verde urbano, mi sembra sempre di peccare in presunzione, continuo a non sentirmi all’altezza…ma allo stesso tempo mi dà molta forza il fatto che si fidano di me, e mi sento tanto fortunata per questo. Mi interessa tantissimo il discorso che porta avanti Maria Gabriella Buccioli, sfruttare nel verde urbano la presenza delle piante spontanee mi sembra oltre che paesaggisticamente. economicamente geniale…mi guardo bene dal segnalare la cosa, per ora, ho paura che non ci sia tanta sensibilità, e che magari mi blocchino. I posti-chiave in comuni piccoli sono ancora occupati da architetti, ingegneri e geometri, di agronomi magari ce ne fossero!!!Preferisco mettere in atto, già ci sono i timidi risultati…i cittadini, alcuni, apprezzano, ed è quello che ha maggiore importanza. Ci vorrà molto tempo, lo so, ma non c’è fretta … spero solo in una buona salute! Cerco di dare il meglio affidandomi più che alle cognizioni scolastiche, all’esperienza, alla carica di entusiasmo che mi sono stati trasmessi dai ralatori di quei corsi già da me menzionati, all’amore che provo per la città in cui lavoro, a persone come Maria Gabriella Buccioli, Libereso Guglielmi, Ippolito Pizzetti, al buon Shigo…solo per citare alcuni dei Rivoluzionari. Un caro saluto a Voi!
    P.S. Che spasso questo sito ragazzi!!!

  9. chorima ha detto:

    Non ti preoccupare Angela, é solo una questione di mode. L’unico problema é che in questo settore i cambiamenti sono lenti. Un giorno forse la flora silvestre sara “chic” e tutti si batteranno e difenderanno i fiorellini spontanei, compresi quegli architetti e ingegneri (senza voler creare polemiche) che oggi mandano gli operai a piallare. Questo peró non vorrá dire che ci sará maggiore sensibilitá.

    Ti ringrazio per spezzare una lancia a favore degli agronomi. Secondo me i posti chiave dovrebbero essere condivisi da un gruppo di professionisti di diversa formazione. E’ vero, un agronomo sa ben poco di costruzioni e materiali, ma che ne sa un architetto di agronomia, di botanica, di pedologia, di fisiologia delle piante? Perché le piante nel verde pubblico vengono trattate como elementi di mobiliario? Perché le cittá sono diventate cosí rigide, spoglie, ostili, luoghi dove gli spazi verdi di nuova costruzione sono spesso rappresentati da miseri e costosi rettangoli verdi e file di alberelli stentati, luoghi dove i grandi alberi inficierebbero la purezza dell’architettura, sporcherebbero i marciapiedi, minaccerebbero le auto in sosta, o addirittura provocherrebbero allergie. Basterebbe porsi una sola domanda per capire che molti spazi non sono ben progettati: dov’é l’ombra? Dove sono gli spazi di ristoro e refrigerio? (non mi riferisco a bar e ristoranti). Vaste spianate di cemento, ampli corridoi commerciali, dove la gente scorre senza fermarsi mai.

    A volte penso che gli spazi verdi di oggi siano il riflesso dei programmi informatici diffusamente usati per la loro progettazione. Spazi forse concettualmente validi, forse belli da fotagrafare, ma terrificanti dal punto di vista umano.

    Io credo che l’entusiasmo e l’amore valgono piú dei “pezzi di carta” (per intenderci diplomi, lauree e masters).

    Saluti e grazie per le vostre osservazioni.

  10. rosmarina ha detto:

    cari Angela e Chorima, la questione è proprio questa: la sensibilità di chi esegue la manutenzione e di chi esegue la progettazione, in città sicuramente ci sono operai più preparati e che lavorano con passione (come Angela), ma se devo parlare della mia esperienza dalle mie parti in un territorio agreste, di operai preparati ne ho conosciuti pochissimi, spesso il lavoro di manutenzione di un giardino (per non parlare di chi pulisce i cigli delle strade) è svolto da persone non particolarmente interessate a quello che stanno facendo, è un lavoro, si guadagnano il pane e va bene, il problema è che operai motivati, appassionati, sensibili e con occhio esperto sono rarissimi, quei pochi che si trovano vengono trattati e pagati allo stesso modo di chi non riconosce piante spontanee bellissime o curative nemmeno quando sono in fioritura , questo succede perchè c’è sempre meno gente che vuole prendersi questo impegno. I giovani preferiscono fare i paesaggisti che fanno meno fatica.
    Molti che commissionano il lavoro, proprietari di giardini non richiedono ai lavoratori requisiti particolari, anche loro non conoscono e riconoscono il mestiere del giardiniere, non tutti però ed è bellissimo quando con i proprietari di un giardino si possono scambiare esperienze e passioni per le piante stando con le mani nella terra.
    Buona fortuna e complimenti ad Angela e applausi alla Giardiniera Buccioli.

  11. Angela ha detto:

    Vi voglio bene, grazie…sono complimenti che veramente mi danno tanto entusiasmo, però sento di più la mia inadeguatezza, la mia pochezza di fronte al compito che sento di essere portata a fare: cerco solo di fare il mio lavoro. Proprio oggi, cercavo di mettere ordine in fioriere che circondano un parcheggio rialzato… il vivaista, perchè è così che di solito succede..(.non c’è un vero e proprio progetto da parte dell’amministrazione) una decina di anni fa ci ha messo piante abbastanza rustiche…Sarcococche, edere in varietà, Cotoneaster oriz., Iperici “moserianum”, Gelsomini “nudiflorum”, ovviamente Lonicere, Spiraee bumalda, e la parte più larga, inselvatichita(siamo vicino al carso) con biancospini, frassino orniello, cotinus coccigrya su un letto di iperico moserianum..e Abelia grandiflora). domani andrò lì a rompere le scatole…. Nessuno bada a quella fascia rialzata: Arrivano le lamentele perchè le Edere e il Partenocissus strabordano, decombono…bello, però. Mi sono offerta di andare lì assieme al mio fido scudiero: un ragazzo che purtroppo ha grossi problemi, fin dalla nascita, ma ha buoni muscoli, è molto sensibile e modo suo cerca di dare il meglio. Un Fauno. Nessuno si accorge di noi, anzi diamo fastidio…solo oggi abbiamo racimolato un sacco di rifiuti nascosti in mezzo al fogliame. Poi è successa una cosa inaspettata:la signora che ci guardava dalla terrazza vuole offrirci un caffè!!!…E mi porta nel suo meraviglioso giardino, del quale non mi sono mai accorta…ogni volta che spostavo l’occhio venivo colpita da piante bellissime e rigogliose…c’era di tutto: dall’angolo delle aromatiche, alla collezione di cactus, a piante strane fiorite per tutta la bella stagione portate dall’Olanda e che si seminano da sole… ecc…ecc… Come hai ragione Rosmarina! Se trovi l’appassionato è fatta! Condividere l’amore per la terra dà tanto!
    Per il resto devo darvi purtroppo ragione alla base del problema delle manutenzioni del verde, è che per la maggior parte vengono eseguite da persone che hanno una chiusura mentale proverbiale. E’ che se ci si mette a ragionare sulle cause si va a finire sull’educazione familiare e scolastica: manca una vera educazione umanistica: se non c’è una maggiore cultura umanistica, come si fa a capire la poesia che c’è nel miracolo della Fotosintesi, nel contatto che si forma fra le tue mani e la terra, nella struggente bellezza del paesaggio che si prepara all’Inverno? Non importa avere grandi titoli di studio. E’ il bisogno di Poesia che deve diventare insaziabile. Bisogna partire dalle scuole dell’infanzia: il già menzionato Luigi Delloste del verde urbano di Torino ha collaborato alla stesura di un libricino indirizzato ai bambini che si intitola ”GUARDIAMOCI INTORNO E SPORCHIAMOCI LE MANI” Alberto Perdisa Editore che ha proprio questo scopo. Il settore verde urbano di Torino sta facendo veramente molto, la stessa progettazione delle aree verdi è gestita da un gruppo di giovani agronomi: la Sea Cop Torino. Cose che qui da noi sono fantascienza!! Nel 2008 hanno pubblicato un libricino”Giungla d’Asfalto” dedicato proprio a tutte le piantine vagabonde e selvatiche che si insinuano fra le fessure, nell’asfalto ecc… Alla prossima ragazzi cari!!!

  12. Lugo ha detto:

    Buongiorno, per caso mi trovo questi vostri sentiti commenti, e, a mia volta ci provo…

    Piantare un albero

    Era tempo.
    L’inverno premeva sull’aria di quel giorno che insieme alla luce, sempre più avara, si adagiava mollemente attorno al luogo, dove la collina sovrastante pareva innalzarsi ogni momento di più. La nebbia, prima timida e fugace, ora colmava tutte le parti tristi della piana, le riempiva e sostava morbida, senza fretta, mossa solo dagli occhi che già conoscevano ciò che stava dietro al suo velo. Passando in quelle occasioni per quei luoghi si percepivano odori meno impulsivi e il fresco e l’umido della stagione scendevano in cuor proprio ad ogni passo. I colori ora mutevoli proseguivano la loro corsa accelerando in quelle foglie chine e sommesse pronte a scendere per l’incanto del distacco autunnale, del saluto, del giungere alla padrona di ogni cosa, del tempo. Alcuni passeri, staccandosi veloci, sfiorarono la siepe di pruno e il loro sfarfallio di ali frettolose mi colse nel torpore dell’attimo, e quì, quasi fosse stata provocata da quelle piccole ali, la brezza salì dapprima lieve poi tesa, liscia e fresca. Accompagnandomi ancora una volta a vedere quel tronco di dove in tanti anni passati si era transitato. Di tempi andati, di prima, lì, fermo e risoluto, immobile nel suo destino di saccente a osservarmi ancora dall’alto dei suoi rami, della sua chioma. In quella presero i ricordi a farla da attori e nel turbinio del momento, appoggiato al mio bastone, con la bocca aperta per ricevere meglio le nostalgie del luogo, sentì quelle voci, i discorsi, i richiami e le fatiche di anni e anni addietro, quando io, da spettatore ancora imbelle, assistivo alla posa di quell’albero. Ecco, lo scavo con quelle pareti compatte, dure, tenaci ancora umide e quasi raccolte nella loro più tenera e nascosta intimità dove l’aria pareva passare forse a controllare che tutto fosse in ordine secondo gli intenti. Quella terra ora messa a nudo era in soggezione davanti ai nostri occhi perché i suoi colori non erano quelli di superficie, quelli di tutti i giorni, erano tinte nascoste e protette, in uno scrigno occultato dal sole e dagli occhi profani.
    Lo scavo doveva accogliere quell’alberello curioso, strappato a forza da un altro destino, terra, luogo, quel virgulto pieno di fantasia e vivacità il cui futuro era solo la propensione verso l’infinito, verso il sempre dell’aria. L’abbraccio al cielo. Ora lì, fermo e ferito, quieto, ancora vivo e con indosso tutte le speranze di noi umani che in lui vedevamo l’ombra, i frutti, il legno il sacrificio al lavoro e la vita insieme. Quell’alberello che unitamente a tanti altri rappresentava una vivida speranza di lavoro e ricchezza, di calore negli inverni freddi e tavole per il desco e porta chiusa ai problemi. Lì attendeva il momento importante senza sapere nulla del resto. Così ad un certo punto quelle mani forti lo presero, lui, leggero, per sistemarlo all’interno della terra, ora delicatamente e con rispetto, quando la cantilena del buon auspicio permeava l’insieme. Ritto e con gli altri, verso il calare della sera di quel giorno faticoso, pareva un soldatino, immobile, in attesa degli ordini.
    Poi, i giorni, le settimane, l’ansia dei temporali quando il vento sferzante e la grandine stracciavano la paziente crescita nell’ottimismo della natura. Giungeva il dito nella piaga, quegli strani esseri molli ghiotti di legno, la carrozza che sbandava, il nitrito dei cavalli, il colpo alla corteccia della dura ruota che ciondolando si rimetteva in carreggiata. E ancora vento, forza e mistero con la neve leggera e morbida, con il ghiaccio severo e rigido. Dopo, giunsero gli uomini armati e quel filare si dimezzò, metà di loro furono portati via per altri fini, senza radici. Molte voci si spensero, e di lì, da quei nuovi spazi l’aria circolava libera a controllare. E ancora anni passarono in quel meraviglioso luogo di sempre, mai visto così bene perché di passaggio, troppo futile per essere considerato appena. E con gli anni anche la guerra, altro freddo, la legna che mancava, e i grandi e forti che se ne andavano per la sopravvivenza di altri piccoli e deboli. Perché la natura del tempo al contrario voleva i più forti e quì il più piccolo e brutto rimaneva, quasi come se si fosse data ancora un’altra possibilità, un’alternativa insomma, a crescere ancora un po’… Fu così che il tempo tiranno era in questo modo diventato gentile e cortese, serviva i piatti affrettati di prima in modo meno scontroso e non batteva più i piedi in preda all’ansia. Tutto ora si giocava con questi pochi compagni superstiti di quel viaggio infinito di statuaria immobilità, in un luogo così in movimento, come nei campi fioriti nel crescere delle messi, nelle forme rutilanti dei cespugli spontanei così monelli e sfacciati. Poi, ancora temporali, rami rotti, bufere che premevano il peso della vecchiaia e il picchio che cercava cibo con il becco aprendosi la strada in quelle viscere indebolite. Ma, alla fine, tutto il peso non si poté più sopportare e anche gli ultimi fratelli maggiori finirono per cadere in quel fragore di legno marcio che sapeva di funghi, per salutare la strada di tanti chilometri percorsi insieme. Quell’albero ora era solo e non più uno fra tanti, risplendeva del suo fracasso di ossa nude nella più grande considerazione, fosse mai, per chissà quale ragione, a lui stesso dedicata.
    Quale logica mai potuta immaginare, e, se prima valeva qualcosa, ora il suo valore non era più calcolabile e tutti lo osannavano come storia del luogo. Molti, ispirandosi a quelle forme, alle sue forme, dipingevano gli affanni del corpo come paragone dell’efferata bellezza del posto, della campagna, della natura. Ora quell’albero rappresentava la massima autorità, e ogni sua parte era la soluzione che tutti noi cercavamo da tempo ai nostri problemi, perché rimasto a dispetto del tempo.
    il consiglio del saggio,
    la carezza del genitore,
    il sorriso dell’amico.
    Quella mano tesa nell’istante del saluto.

    Luigi Delloste

    un caro saluto a tutti i lettori.

  13. Raelgius ha detto:

    Ma che bel sito, e che belle persone! Mi si
    allarga il cuore!
    Anche io stimo il lavoro e la visione di Maria
    Gabriella Buccioli, anche se purtroppo non sono andata a visitare i
    giardini del Casoncello, mi riprometto di farlo al più presto.
    Avete tutteìi detto delle cose giuste e importanti, parlando della questione
    sotto vari aspetti.
    Penso che la preparazione delle diverse
    professionalità, le abilità e i saperi siano fondamentali, ma se non
    sono accompagnati da sensibilità, passione e spirito di collaborazione
    servono a poco o a poco più. Mi sembra che in Italia, purtroppo, troppo
    spesso c’è una mentalità provinciale e gretta. Lavoro nel verde come
    giardiniera e mi è capitato che passanti, più spesso non italiani si
    siano fermati incuriositi a domandarmi qualcosa in fatto di piante o a
    scambiare un commento di simpatia, e architetti e altri laureati
    italiani avessero un atteggiamento un pò spocchioso.
    Non sempre certo, ma abbastanza.
    Un’amica mi ha raccontato che nella città di Chigago
    lasciano volutamente delle aiuole con vegetazione spontanea… per noi
    ancora fantascienza.
    Nel mio piccolo, sia come cittadina che nel
    lavoro, cerco di seguire le mie inclinazioni…..ma non è facile,
    talvolta su un muro cittadino in cui è presente cymballaria muralis e
    capillis veneris mi diverto a togliere le altre erbe, come la
    parietaria, più invadente ed anche allergica per alcuni, estirpandole
    con le mani alla radice. E’ così triste vedere quando “puliscono” i
    muri tagliando o strappando indiscriminatamente tutto e lasciando
    moncherini.
    Adesso, lavorando in un’aiuola pubblica che presenta fiori
    di colori determinati, sto togliendo le “erbacce” ma trovando due
    piante di iperico. non ho potuto estirparle, aspetterò che si
    diffondano i semini e poi la taglierò, ma non alla base, solo in
    maniera che non si scorgano….piccoli escamotage…………..
    Che bello avervi trovato, c’è davvero molto bisogno di tenerezza di questi
    tempi, uno sguardo amorevole verso il mondo, compreso il mondo
    vegetale. buone cose e tutte e tutti.

    Raelgius

  14. mauro zanichelli ha detto:

    cara Angela, trasecolo! e mi si inumidiscono gli occhi, mentre aspiro una piena boccata di ossigeno leggendo le tue parole. Qualcuno che si ricorda di Shigo! è scomparso da pochi anni, ma il suo pensiero non ha ancora preso il volo…
    E per giunta mi citi pure Delloste!
    Sei un Angelo davvero, mi hai illuminato la giornata!
    E per quanto riguarda le scarpate ed i prati martoriati da trince e diserbanti, beh, ricordiamoci che non è solo la bellezza ad andare in pugliuzza: spesso di mezzo c’è pure una ricca mensa di erbe squisite: un pò come salire con un decespugliatore su una tavola sontuosamente imbandita e frullare allegramente tutto ciò che ci sta sopra…
    Poi la verdura la vado a comperare alla coop, che sono io, e chi può darmi di più!
    ciaoatutti
    mauro

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