Monte Labro – Appunti

Che il monte Labbro sia un luogo da me molto amato non è un segreto per chi legge le pagine di questo blog. Sull’ultimo numero di Rosanova uscirà un articolo in cui Daniele Mongera commenta questi miei appunti sparsi in vent’anni e più.

Grazie Daniele.


Arcidosso, gennaio 1987

Esami universitari alle spalle, finalmente vacanze: qualche giorno di trekking sull’Amiata. Ci troviamo
nella piazza del paese per l’ultima spesa di rito prima della partenza. Odio lo shopping, anche con gli amici:
con una scusa scantono. Arcidosso è bella, passeggio tra i viottoli. Fa freddo e mi infilo in Biblioteca, c’è
una lezione. Parla un certo Padre Balducci, racconta di Monte Labbro e di Davide Lazzaretti, il “Cristo
dell’Amiata”, un eretico visionario che su queste terre natali fondò la Chiesa Giurisdavidica.
Il racconto mi appassiona: sul Monte Labbro o Labaro come è scritto nei testi davidiani, un gruppo di seguaci
assieme al suo profeta, costruirono un eremo a torre, una chiesa e altri edifici. La comunità crebbe, il monte
divenne un crocevia di spiritualità e socialismo utopico, nacque una messianica “Repubblica di Dio”. Durò
poco, dal 1868 al 1878, anno nel quale le autorità intervennero a porre fine all’avventura; Lazzaretti fu ucciso
e la comunità presa a cannonate. Padre Balducci riporta un frammento del profeta scritto prima di morire:
«Figuratevi che io sia un gran fuoco che abbia incendiato un monte. Accorre gente per smorzarlo e tirano
addosso a quello acqua e terra. E dopo molto lavoro sembra a tutti di averlo smorzato, e se ne vanno
contenti e soddisfatti. Però, alcune scintille rimaste insepolte, cominciano a lavorare piano piano. Allora si
riaccende un incendio più potente, che si dilaga per tutta la terra, e più non si smorza. E rende i suoi effetti»

Arcidosso, gennaio 1997

Di nuovo a Monte Labbro! Sui cartelli stradali c’è scritto Monte Labro. Labbro Labro Labaro: quanti nomi
ha questo luogo? Già nel nome sfugge. È ormai buio, sono solo, l’appuntamento con gli amici è a Roccalbegna ma non arriverò come gli altri: voglio rubare tempo per questo monte che da dieci anni mi frulla in testa con tutti i suoi personaggi, i suoi misteri. Non sono mai riuscito a convincere il gruppo che il luogo valeva la visita.
Monte Labbro apparentemente è un posto come tanti: una vetta modesta, un poco di storia, di archeologia,
una natura interessante, ma per chi ama il trekking zaino in spalla c’è di meglio, e tanto, in terra d’Amiata.
Lascio la macchina, non ho una meta precisa, solo stare qui. Mi piace camminare al buio, in tasca ho sempre
una lampadina, poche volte l’ho usata. Arrivo a una banchina di pietra calcarea, bianca, mi siedo; c’è vento,
viene dal mare, il tepore dell’auto è un ricordo, mi stringo nei vestiti; d’improvviso, dal cumulo di nuvole,
spunta la luna, è piena, la pietra subito riflette la luce e tutto si illumina. Luna e pietre e soffice luce, altro non si vede: è meraviglioso, un sogno, poi le nuvole si riprendono tutto. Ritorno sui miei passi, e’ tardi e mi aspettano.

Roccalbegna, dicembre 2003

Ancora qui. Questa volta non siamo gli amici ardimentosi di un tempo, niente zaino in spalla, siamo con
la prole in passeggino all’aria serena della valle. Abbiamo avuto i figli insieme e insieme li portiamo per la
prima volta nei nostri amati luoghi. Acquisto in paese il libro di Alfiero Rosi e Nello Nanni Monte Labbro:
la poesia delle pietre. La fotografia di Rosi è grezza, sgranata, in un bianco e nero sempre sovraesposto, mi
esalto: Monte Labbro è poesia, numinosa. L’incipit del libro è un’iscrizione latina, parole incise sulla pietra,
da qualche parte a monte Labbro.
Si vivam si vives huc/ redibimus olim/ semper homines doloremque/ fugientes/ ut tandem ad sidera/
una/ voce et corde excelsius/ longo perfecto itinere/ clamemus.
Se vivrò se vivrai/ qui un giorno ritorneremo/ fuggendo gli uomini e il loro dolore/ perché finalmente con
una sola voce e un’anima sola/ terminato ormai il lungo cammino/ potremo parlare più forte alle stelle.

Monte Labbro, gennaio 2011

Torniamo, anche stavolta con le famiglie. I bambini vogliono vedere gli animali del Parco Faunistico del
Monte Amiata: 200 ettari circa alle pendici Nord del Monte Labbro, un luogo dove sono custodite specie che
vivono semilibere all’interno di grandi aree. Ci appassioniamo al lupo appenninico, che può essere avvistato
dalle altane dislocate lungo i percorsi di visita; anche il Sorcino Crociato, un particolare asino che vive
sull’Amiata, ha il suo successo. È un animale con una croce sulla schiena ben visibile, si dice che tale segno
sia stato scolpito dalla Madonna di fronte alla quale l’asinello si era chinato dopo un’apparizione.
Il parco è percorso da alcuni sentieri-natura, uno raggiunge la cima del Monte. Percorrendolo si attraversa
una macchia di Acer monspessulanum che prospera rigogliosa. Non verrei più via: ciò che mi sorprende oltre
al vigore e alla bellezza degli esemplari degli aceri è il sottobosco ai piedi di queste piante: un brulicare di
muschi e licheni, un ambiente umido che cozza non poco con l’esterno arido, assolato. Nelle lame di terra tra
i calcari piatti conciati a strati si nascondono misteri botanici. Eccone uno: Lobaria pulmonaria, cosa ci fa
qui un lichene da umido, da aria d’oceano?
Rivango le mie letture: le comunità licheniche di Lobaria non solo segnano l’umidità del clima ma anche individuano ambienti antichi, poco disturbati e lontani dagli inquinamenti. È una pianta che
rimanda a un tempo di boschi estesi, probabilmente sino alla sommità. Chi li ha tagliati? I pastori? Una
carestia? Certo è che la Lobaria da allora è rimasta. Si è rifugiata, nascosta ed è sopravvissuta. Sì: molte cose
qui si nascondono.

Monte Labbro, marzo 2011

Monte Labbro si nega, non vuole mostrarsi. Almeno da una settimana ci vogliamo andare, ma il meteo lo
sconsiglia. E anche la famiglia: Monte Labbro va visto con il sole, altrimenti la vista panoramica, gli animali…

Bel tempo: è ora di ripartire tutti insieme, questa volta procediamo sul versante Sud Ovest. C’è sole davvero,
ma anche freddo e vento. Proviamo a salire sulla cima. Con gli occhi percorro il profilo vagamente aquilino
del monte, sulla sterrata che conduce alla sommità il paesaggio è scarno, nulla attrae veramente
ma un non so che capace di penetrarti, lentamente si insinua: Monte Labbro sfugge, ma non si ritira.
Mi perdo o meglio perdo il gruppo; ho con me la macchina fotografica. Nel 4:3 del mirino si compongono
quadri perfetti, nessuno sforzo per catturarli. Mi accorgo dei cerchi di pietra: dicono che sono opera dei
buddisti tibetani della vicina comunità di Merigar.
E poi eccoli: in cima al monte, i resti delle costruzioni davidiane. Entro nella cappella scavata nella
rocca: il cuore sussulta, sento la preghiera, forte, netta; mi appoggio alla parete, fredda, bianca. I tagli della
roccia distillano gocce d’acqua che rimangono sospese, sembrano non voler cadere. Qui, a memoria dei seguaci di Lazzaretti, furono trovate “ossa
di un gigante guerriero e spade varie come di battaglia”.
Tutto è composto, raccolto, ho il desiderio di pregare, io agnostico capisco sempre più che la fede è un dono,
grande. Esco, il sole abbaglia, prendo il sentiero del ritorno; un corniolo in fiore incastonato nella pietra
segna la mia pausa, il suo giallo puro mi avvolge. Sono felice.

Monte Labbro, gennaio 2012

Torniamo, finalmente torniamo. Ho una scusa perfetta: un servizio fotografico da pubblicare. Il contratto con la famiglia prevede una partenza dal Parco Faunistico, confido di andare un poco a zonzo mentre loro cercano gli animali. Ci rincontreremo sul sentiero che porta alla vetta, dico.
Mi ritrovo ancora al boschetto di aceri minori, ritrovo i muschi, i licheni e le fioriture di elleboro questa volta copiose, gonfie, uno spettacolo.

D’improvviso mi volto, ho la sensazione di una presenza: il tronco di un acero mi si mostra con la sua faccia
da asino, quasi cerbero. Lo so: è solo la mia fantasia, ma so anche che affermare questo
– è solo la tua fantasia – non è così semplice. Come non è semplice né scontato affermare che fuori da me
quell’albero esiste o esiste la terra su cui io e l’albero poggiamo.

D’accordo: ho un poco di filosofia da sbrigare, per oggi non salirò su Monte Labbro. Sto qui con il cerbero. Chissà: sorriderà?

Comments
4 Responses to “Monte Labro – Appunti”
  1. silvana ha detto:

    Ehi… Ma che bella storia… Tutti nomi sconosciuti… Grazie Paolo sai sempre donarmi un ” qualcosa”.

  2. rosmarina ha detto:

    Caro Paolo,
    che bello sapere che sei stato così tante volte sul Monte Labro, è un luogo che anche io onoro per la forza che emana e dove ogni tanto vado per rigenerarmi, è bellissimo quello che scrivi, mi permetto solo una piccola nota: i cerchi di pietre non sono opera dei buddisti tibetani di Merigar ma “dell’istituto di arti pubbliche” da un idea di Luciano Ghersi un mio carissimo amico
    http://www.hypertextile.net/iap/sasdav.htm
    forse hai ricevuto l’informazione da qualche indigeno i quali hanno molta fantasia e inventiva.
    Grazie

  3. daniele mongera ha detto:

    Grazie a te, Paolo.
    Con Monte Labbro abbiamo completato su Rosanova il percorso iniziato a Poranceto, passando per Montarbu e San Genesio. In un certo senso è stata una ricognizione nei paesaggi che hanno costellato la tua formazione e, in almeno due casi, la tua gioventù.
    Il passo è cambiato, ma è ora di riprendere lo zaino.

  4. valeria-vespa Teresa ha detto:

    se il cerbero non ha sorriso ha comunque comunicato che tu eri lì….ho riconosciuto la tua mano vedendo le foto su Rosanova. Complimenti per l’articolo e per il tuo diario Paolo, un altro luogo che mi viene voglia di visitare.

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