Scoprire luoghi, avvicinarsi a territori e comunità lontano dai riflettori, attratti da un racconto, da un immagine, da un passaparola, è ciò che più mi appassiona nel tempo libero e vacanziero.
Anni fa in Sardegna sulla strada del campeggio estivo, in un bar di passaggio verso Nuoro, trovai queste locandine e fu amore a prima vista. Promuovevano un evento estivo dell’associazione Andalas, ma soprattutto mi aprivano una finestra su un territorio a me sconosciuto: la Barbagia di Seulo.
Ricordo le emozioni di quel viaggio: non riuscivo a staccare il pensiero da un documentario visto giorni prima a Bologna, Tempus de Baristas, di David MacDougall: una presa diretta su frammenti di vita di pastori delle montagne dell’Ogliastra, nella Sardegna orientale.
Girato nel 1992, racconta il quotidiano di un gruppo famigliare, in particolare del giovane Pietro, un diciassettenne che aiuta il padre Franchiscu nel governo delle capre e che si divide tra scuola, serate nella piazza del paese e vita d’ovile.
MacDougall è un antropologo e il suo ritratto di Sardegna, di Barbagia di Urzulei, è pieno di attenzione e rispetto per un mondo sempre più ai margini, dal futuro incerto, schiacciato dal mercato moderno ma che tuttavia non ha perso lo sguardo, la capacità di scrutare, se in tutta questa “legge del più forte”, non ci siano vie e speranze d’avvenire.
Ci sono alcune sequenze che ho ancora oggi negli occhi, sono gesti di lavoro, manualità semplici, eleganti: un muover di mani nel fare formaggi, un uso del coltello preciso nello scuoiare un capretto…
E poi la battuta fulminante di un anziano in una discussione sulle nuove generazioni: Questi giovani sono nati con la pancia piena: noi invece come Dio ha voluto… Li abbiamo allevati come fiori; mai fame da quando sono nati… Ecco perchè sono così prepotenti.
Erano queste parole che mi tornavano in mente, tre anni fa mentre guidavo verso le spiaggie di Lotzorai, parole che si mescolavano con quelle euforiche dei miei ragazzi che pregustavano il loro tempo di mare e compagnia. Fortunatamente riuscii a tacere, ricordo di aver alzato il volume dell’autoradio su Atom Heart Mother dei Pink Floyd aspettando con ansia quel passaggio: …perhaps you’d care to state exactly how you feel…
Mi piace pensare che fu il mio umore da Tempus de Baristas che ci fermò in quel Bar, e quelle locandine furono perfette, un gran regalo, un nuovo filo da percorrere, il sorriso ritrovato al pensiero che un declino possa intrecciarsi a una crescita, qui nelle forme di un turismo responsabile, ecologico, leggero. Io ci credo.
E’ così dopo una settimana di campeggio sulle spiagge di Lotzorai con i ragazzi iniziammo ad esplorare quella che chiamano La grande ansa del Flumendosa, il tratto di fiume che separa il territorio di Seulo dal complesso del Gennargentu, dove l’acqua scorre in una valle stretta e tortuosa per una trentina di chilometri.
Sa Stiddiosa è il punto più conosciuto: una parete calcarea a picco sul fiume che stilla umido dell’altopiano e che nei secoli ha creato un intrico di stalattiti e capelvenere, un giardino verticale da brivido che si tuffa nelle acque placide del fiume e che è un piacere unico scoprire nuotando.
Ma tante sono le pozze, le piscine lungo il fiume, tutte con nomi potenti, misteriosi al nostro orecchio: Masedu, Terra Segada, S’Isca ‘e Norcui, Arreddelusu, Pabani, Is Caddaias…
Negli anni abbiamo preso l’abitudine di fare base in un agriturismo delizioso alle porte di Seulo, Ticci il nome; la famiglia, in particolare la padrona di casa Manuela ci ha conquistato, quasi viziato, con un’ospitalità fatta di racconti e pietanze straordinarie…
Il padre ha appena pubblicato una bella storia locale e per me ascoltare i suoi racconti, leggere le cronache è stato un gran bel modo per iniziare a calarsi in questa nuova realtà.
Gino Ghiani, Buconis de storia de Barbagia de Seulo, 2017, Edizioni Domus De Janas.
Come al solito avevo radunato tutte le carte sulla vegetazione possibili ma su questa parte di Sardegna non è così facile avere materiale. Tutto sommato non mi dispiace, contribuisce a dare quel sapore da primi esploratori solitari, come é capitato a noi, con nostra grande soddisfazione.
Alcuni seulesi chiamano questo fiume con il termine locale Frùmini che tradotto fa semplicemente fiume. Conversando un poco al paese sembra che questo luogo non goda di grande considerazione, non si muove grande entusiasmo. Da un sito di promozione turistica mi appuntai questo testo:
Frumini faceva paura, gli anziani ammonivano i giovani sui temibili corrovonis, i punti più profondi delle piscine. I viaggiatori dell’ottocento raccontano di un fiume terribile che mieteva diverse vittime ogni anno.
Ma il Flumendosa, soprattutto nel periodo estivo, è un fiume tranquillo: nelle tante piscine puoi nuotare serenamente e goderti la pace e la natura di questi bellissimi posti.
E’ vero: oggi, grazie alla grande diga a monte si cammina sereni tra la mescola di pietra e lo sfatticcio vegetale, ma ogni angolo di questo fiume ha una sua traccia, un suo filo antico che non nasconde i segni dei tumulti, dell’impeto delle acque, dei venti.
Imparammo poi, che in una notte di qualche anno prima, un incidente, un bisogno improvviso di sfogare l’accumulo in diga, cambiò brutalmente il volto del fiume, scorticando un poco tutto: piscine, pietre muscose, alberi. Immagino che qualcuno in paese pensò che la diffidenza era giusta: le cose tornano, il fiume non si doma, Il fiume comanda, di piena in piena.
In tutte le nostre visite abbiamo si esplorato, cercato, ma non siamo dei campioni d’escursionismo, a noi piace anche l’ozio, il bivaccare lento, l’aspettare qualcosa che non sappiamo. Si cammina, ci si ferma, si sta insieme, ci si perde, si vive il luogo, gli incontri. C’è spazio anche per i propri piccoli piaceri: un libro, un fumetto, una sigaretta elettronica.
In qualche modo, in questi momenti, costruiamo la nostra Heimat fatta di emozioni, di respiro condiviso, di volontà di essere qui ed ora, assieme a tutto ciò che ci circonda.
Ricordo una banchina di sabbia e la sensazione sotto i piedi di un umido freddo, di una risorgiva che non riusciva a sfogare; mi spostai in acqua fino a sentire un brivido fresco corrermi come un lampo dalla pianta dei piedi: eccola l’acqua gelida direttamente dalle roccia… Piccole cose: intimità, sorpresa, senso di gratitudine.
Lungo l’alveo, incassato nella stretta vallata, in località Arreddelusu si trovano scogli spettacolari a picco sul fiume che invitano a tuffarsi e che non sarebbero certo dispiaciuti ai cubisti di inizio novecento. E’ qui dove preferiamo sostare, dove abbiamo conosciuto persone del luogo e ci siamo mescolati, tra un tuffo e l’altro.
Altri posti sono più intimi, soli, chiamano al bosco che incombe, ad altre acque, sentieri, emozioni. Ricordo un boschetto di Osmunda regalis ai piedi di un rivo laterale, piante enormi, mai viste così in giardino. Ricordo che alzai lo sguardo: i miei figli da qualche attorno e il pensiero che anch’io li ho allevati come fiori, fiori da balcone, ma anche fiori di campo, fiori selvatici.
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Che bel testo Paolo ! Complimenti e auguri !
lina
Che luoghi spettacolari!
In un freddo e nebbioso pomeriggio milanese ho scoperto luoghi meravigliosi….grazie Paolo come sempre…