Rock Hudson farebbe ancora il giardiniere?

Oggi, complice il maltempo, ho gettato un’occhio alle novità che riguardano il nostro settore professionale. In un momento di sconforto, a sollievo, mi è venuto in mente il meraviglioso Rock Hudson giardiniere di Douglas Sirk (confesso che vorrei anche il mio Libereso a commentare qui con me).

Ma andiamo con ordine: è nato il giardiniere professionale! L’anno scorso avevo fatto il punto in questo post riportando la situazione di attesa rispetto ai regolamenti attuativi che le Regioni sono tenute a fare a fronte della Legge 154/2016 e in particolare all’art. 12:

“…possono esercitare tale attività (costruzione, sistemazione e manutenzione del verde, pubblico o privato, affidate a terzi) le “imprese agricole, artigiane, industriali, o in forma cooperativa, iscritte al registro delle imprese, che abbiano conseguito un attestato di idoneità che accerti il possesso di adeguate competenze”.

Ebbene ad un anno di distanza abbiamo per l’Emilia Romagna il regolamento atteso e nel quadro del sistema regionale delle qualifiche viene istituita nella nostra Regione la figura del Giardiniere così descritto:

“Il Giardiniere è in grado di realizzare parchi e giardini pubblici o privati (dalla predisposizione del terreno ospitante, alla messa a dimora delle piante sino alla realizzazione di semplici opere d’arredo) traducendo le esigenze e i dati progettuali in elementi di realtà.”

Cercando in rete come le altre Regioni hanno recepito la legge quadro noto come in molte di esse la dicitura Giardiniere viene sostituita con la più specifica Manutentore del verde o diciture affini (la regione Toscana ad esempio ha il suo Addetto alla realizzazione e manutenzione di giardini). Per approfondire consulta il Repertorio di questo sito.

Ad ogni modo per avere questa qualifica è necessario il corso di abilitazione professionale da 180 ore. Chi esercita già la professione potrà richiedere l’esenzione dalla frequenza del corso di formazione (entro il 21 febbraio 2020). Ciò vale per tutte le persone che hanno già maturato una esperienza di almeno due anni come titolari, soci, dipendenti, collaboratori familiari e apprendisti di aziende iscritte al Registro delle Imprese con il codice ATECO 81.30.00.

Questo lo stato dei fatti: la considerazione, che ha scatenato il ricordo del giardiniere Ron (Rock Hudson) del film di Douglas Sirk All That Heaven Allows, riguarda strettamente l’identità del giardiniere e al fatto che alla nostra figura venga definitivamente tolto l’esercizio della componente creativa.

Al giardiniere è dato tradurre la creatività altrui: ciò comporta innanzitutto un saper leggere e, come scritto, un “interpretare ed analizzare progetti del verde e cogliere la soluzione paesaggistica che gli stessi rappresentano“.

Chissà se i Ron italiani, tra cui mi iscrivo, compileranno a cuor leggero i moduli richiesti.

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Nel suo recente articolo Vecchi e nuovi Giardinieri Nicolò Pensa (numero 10 della rivista il Giardiniere) scrive che i clienti un tempo cercavano competenze, conoscenze; oggi invece vince chi offre non solo buoni servizi ma ciò che è nuovo e stuzzica il desiderio. L’esempio citato da Pensa del prato di plastica, pardon, del tappeto erboso sintetico, è un’ ottima sintesi di ciò che io, vecchio giardiniere, mai proporrò.

Il tema non è essere rigidi, vecchi giardinieri non conformi ai cambiamenti, piuttosto il contrario. Io sento di cambiare continuamente ma legato a un percorso creativo, di crescita, un cambiamento connesso a quello dei giardini alla cui vita ho contribuito e che hanno segnato la mia identità.

Mi rifiuto di rispondere a una logica da ufficio marketing o meglio da app-trova-artigiani, dove il giardiniere è fondamentalmente un venditore/installatore che più articoli/installazioni propone più occasioni ha di sbarcare il lunario.

E protesto di fronte allo scippo della nostra componente creativa, per tutte le piante che negli anni abbiamo scelto e che coltiviamo, per i terricci, le pietre, le idee, le opere, gli attrezzi che abbiamo messo in scena e che sono diventati il nostro vestito, il nostro vero, unico biglietto da visita.

Personalmente non ho mai operato su un progetto consegnatomi: ho lavorato sempre su idee condivise con i clienti e con il gruppo di lavoro che di volta in volta si costituiva. Utilizzo sì schizzi, bozze, computi metrici, ma non in un’ ottica di progettazione architettonica o ingegneristica, piuttosto in quella tipica di un laboratorio, di una bottega artigiana. Da questa prospettiva poi non riesco a riconoscermi neppure nella categoria europea del Tecnico progettista di spazi verdi in quanto considero il progetto una componente d’avvio e di supporto, parte fondamentale del processo creativo, e non l’alfa e omega del mio lavoro.

Non mi piace l’idea che da una parte ci sia chi a tutto ha pensato e dall’altra chi tutto esegue e difendo un lavoro artigiano, di squadra, a cui tutti contribuiscono, dove ci sono figure più creative, altre d’esperienza e altre di supporto e tutti insieme si concorre al buon risultato dell’opera.

So che dicendo questo mi porto ai margini: già lo sono nella difficoltà di far sopravvivere il mio gruppo di lavoro e di dover far fronte a normative che non ci prevedono; ma non demordo e come il grande Rock cerco un mio All that Heaven Allows 🙂

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