Giardini in terra d’Amiata: un racconto

Racconto di fantasia

Il giardiniere, ci dissero, era un tipo schivo, di poche parole, noi non lo incontrammo; sapevamo di due giardini suoi, uno in un castagneto ai piedi del monte Amiata e l’altro in un vecchio pascolo, verso la sommità dell’adiacente monte Labbro.

Il primo lo trovammo senza sforzo, i locali lo conoscevano come il giardino dei castagni, uno squadro di piante secolari, un misto di varietà del posto quali Cecio, Marrone buono, Bastarda rossa, piantate molti anni prima da un contadino di nome Nato. Nato, quel castagneto lo aveva coltivato per una vita, poi, l’età e i figli, lo avevano obbligato a scendere in paese. In questo luogo, pieno degli umori di chi lo aveva preceduto, il giardiniere aveva cominciato il suo lavoro.

Il luogo lo vedemmo un pomeriggio di tarda primavera, solare: poste a siepe, alternate una ad una, tutte intorno al castagneto, facevano la loro figura vistose Rosa Meilland nelle varietà “Colette” e “Yellow romantica“, arbustive vigorose, dal fogliame folto e lucido, dalle fioriture ottocentesche, generose, profumate, nei colori rosa e giallo.

La loro piantumazione, ai bordi, lasciava intendere una volontà della nuova mano, quasi che la bellezza più appariscente fosse una sorta di confine, una pelle tra un interno, privato, all’ombra dei castagni e un fuori, tutto intorno, sia cielo che terra. Fuori, immaginammo, si sarebbero fermati i visitatori più frettolosi, quelli dalla vista scarsa; lo pensammo perché scoprimmo il cuore del giardino, interno, protetto quindi, e la protezione era data non solo dalle siepi vistose e dai maestosi castagni, ma dalla minutezza del coltivo.

Poco appariscente, tutto a pelo del terreno, faceva la sua figura, assieme a rade primule spontanee, una fitta trama, verde scura, a tratti rilucente, di Vinca minor nelle varietà “Atropurpurea” a fiore rosso, “Gertrude Jekyll” a fiore bianco, ” Illumination ” a fiore blu carico. Ci immaginammo la rugiada del mattino, i primi giorni di primavera, quando il sole sorprende e tutto, lì, è un tripudio, sottile e colorato di imbutini rossi, bianchi e blu.

Le vinche sono piante minute, dai fusti striscianti, le foglioline sempreverdi, lanceolate, a coppie, colonizzano spontaneamente zolle ombrose, zolle che piante più appariscenti disdegnano.
Ci chiedemmo il senso di tanta attenzione per una pianta minore, non molto vistosa, poco scelta dai giardinieri. A noi, la scelta delle vinche, nelle brume mercuriali della terra d’Amiata, ha ricordato una poesia nelle cui parole fermamente crediamo.

Da Wordsworth William, Lines Written in Early Spring, in: Lyrical Ballads, With Other Poems, 1798.

Through primrose tufts, in that green bower,
The periwinkle trailed its wreaths;
And’t is my faith that every flower
Enjoys the air it breathes.

Attraverso ciuffi di primule, nel verde che attira,
La vinca innalza le sue piccole spire;
Ed è mio credo che ogni fiore
Gioisca dell’aria che respira.

Il secondo giardino lo si incontrò camminando e molto, due giorni dopo aver lasciato l’Amiata, che ormai ai giardini non si pensava, perché non pareva, eppure quel pendio, all’apparenza poco irto, sul monte Labbro, alla lunga sfiancava, e poi c’era il vento, le pietre spaccate, le chiazze d’erba sempre più rade.

Il primo segno della mano del giardiniere fu, quasi in cima alla montagna, una macchia diffusa, come si diffonde la vernice nel rovesciarsi della latta, di Alchemilla monticola, una erbacea minuta dalle foglioline tomentose, quasi rotonde, ad insenature basali strette, e fiori, giallastri, estivi, allegri, pur nei venti forti.

Il genere Alchemilla ha una particolarità botanica: non si riproduce per le normali vie sessuali; in effetti, nelle Alchemilla il polline non si forma e le fertilizzazioni di conseguenza non hanno luogo. La stirpe è assicurata dall’ovario, il quale vista l’inadempienza degli organi preposti, decide in solitudine di avviare la genesi di un embrione, e così assicurare la progenie.
Chissà se questa pianta fu piantata o semplicemente trovata e coltivata, certo è che, la sua casta sessualità la rende perfetta, per questo luogo mistico, dove tanta spiritualità si è offerta, consumata, dove un uomo chiamato santo David (al secolo Davide Lazzaretti) nel 1868, qui proclamò la sua “illuminazione”, e cominciò la sua tragica avventura di socialista evangelico.

Oltre alle alchemille, un segno che si era in un giardino, ce lo diede una imponente stesa di arbustame basso e frondoso, lo vedemmo tutto in boccio, quando il colore dei petali ancora non appariva. I rami allungati e leggermente ricadenti, le foglie verde grigio e pelose, un’idea di insieme morbido e sinuoso, ci fece pensare di trovarci di fronte ad esemplari di Potentilla fruticosa “Primrose Beauty“. Giorni dopo la notizia di una esplosione di giallo crema ci diede la gioia di una attesa conferma.

Certo non ci si poteva appellare ai canoni consueti per dire che si era in un giardino: sopra di tutto mancava il senso del confine a meno che per confine non si definisse il clima impervio fatto di venti improvvisi, di grandi escursioni termiche, di terra magra e pietre, pietre ovunque. Che si fosse in un giardino, lo si capiva con il cuore più che con la testa; lo si capiva di fronte a quel maestoso esemplare di Rosa xanthina “Canary Bird” quasi un ex-voto, una croce viva come vivo in queste terre è il senso devoto della vita.

Rosa xanthina “Canary Bird” è di per sé una pianta magnifica, con una corteccia scura spinosa e foglie piccole composte che ricordano le felci, e fiori singoli, semplici, giallo canarino con stami prominenti, profumati; a seguire minute, delicate bacche rosse che subito scompaiono (qui forse, è piacevole pensarlo, negli intestini della magra selvaggina).

Ci immaginammo l’epifania della fioritura, in questo esemplare schiacciato in altezza dai venti ma non in larghezza: tanto largo che quattro persone non sarebbero bastate ad abbracciarlo, e folto, in un luogo dove essere folti, resistenti al vento quindi, è segno supremo di forza, di vita, che arriva, che raggiunge (… il lungo, silenzioso, millenario percorso delle piante dagli acquitrini del Siluriano, 450 milioni di anni fa, a questa aspra radura dell’oggi, una tappa di speranza, in nessun caso una meta).

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