Per sicuro istinto
Vi era un bambino che usciva ogni giorno,
e il primo oggetto che riguardava, quello egli diveniva,
e quell’oggetto parte di lui diveniva per il giorno, o
una parte del giorno,
o per molti anni, o lunghi cicli di anni,
e l’erba i convolvoli bianchi e rossi, il bianco-rosso
trifoglio, e il canto del saltinselce,
gli agnelli del terzo mese, la rosea troiata, il puledro
della cavalla, il vitello della vacca,
la chiassosa covata nell’aia o presso la melma
dello stagno (…)
Walter Whitman, Vi era un bambino che usciva, trad. E. Giachino, Torino, Einaudi, 1950
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Piove, è freddo, poca voglia di assolvere i miei doveri quotidiani. Voglia invece di tornare velocemente sul tema a me caro dell’infanzia e accennare ad un aspetto particolare, difficile già solo nella definizione: il tema della percezione del Sé nell’esperienza infantile della natura. Lo faccio sull’onda dell’emozione alla lettura del piccolo saggio dei coniugi Giorgetti.
Giorgietti, E., Giorgietti, A., Il tocco dell’essere – esperienze nella natura, stampato in proprio: Cascina Fontana 11 – Daverio (VA), 2008.
Prendo spunto dalla loro proposta di un brano/testimonianza di Jeanne Bemer-Sauvan preso e tradotto dall’opera Mon âme en sabots che solo il titolo – La mia anima in zoccoli – incita alla lettura. (Cari editori anche questo libro non esiste più e, ahimè, non solo in Italia)
Temo che quanto vado qui narrando cada nel nulla e non trovi che incredulità nel lettore che non abbia avuto, come me, un’infanzia selvaggia e libera, nei campi e nei boschi. Volete tuttavia seguirmi su un prato autunnale fiorito di colchici? Noi li chiamiamo “vachettes” o anche “veilleuses“. Sembravano ardere nell’erba rasata, tutti d’un blu rosa, d’un blu malva, come i fuochi fatui dell’alcool. Questo, forse, non significa nulla per voi, ma per me! … Ah!, eccomi tornata in quel prato di ottobre: scivolo con il corpicino di cinque o sei anni sotto il recinto, le siepi mi avvolgono nel mezzo di un universo selvaggio, davanti a questi fiori tutti uguali, tutti schiusi a coppa a livello del terreno poggiati là come un volo di uccelli. Distinguo forse la forma dimenticata fra un animale, una pianta e me stessa? Non sono forse io stessa vita, unicamente vita, che percepisce la grande Vita? Così capisco di essere ammessa in seno all’incantevole assemblea: mi siedo là, tra i colchici, come loro rimango immobile, vedo come fioriscono, sono io stessa, in questo momento, un piccolo colchico umano, momentaneamente privo di coscienza e che percepisce in modo universale, come può fare un fiore o un uccello.
Il ricordo di Jeanne indica un momento epifanico veicolato/attivato dalla bellezza di una fioritura. Per momento epifanico intendo quei particolari frangenti di intuizione improvvisa che ci portano ad un diverso stato di consapevolezza, stati che ci possono avvicinare al trascendente o quantomeno ad una dimensione percettiva più ricca e fertile. Nei brani riportati, sia quello poetico di Walter che quello testimoniale di Jeanne, è la natura il medium capace di traghettarci da una percezione individuale a quella di un io impersonale, capace di partecipazione viva al tutto.
Portando avanti la riflessione mi viene in mente, dalla tradizione buddista, l’immagine della “rete di Indra” ovvero la rete della vita, in cui ogni essere vivente rappresenta un nodo interconnesso ad ogni altro. Vera libertà non è dunque l’oblio dell’altro ma il “ricordo” dell’ineludibile, fondante interdipendenza. Fare esperienza di un sè incluso, partecipe, non separato da ciò che percepisce è parte necessaria nello sviluppo di un io solido.
Stare vicini alla natura, allentare gli impegni nostri e dei nostri figli, divagare nella bellezza di un ambiente ricco, non dapauperato dalle nostre peggiori attività produttive, sono condizioni, soprattutto quest’ultima, perchè ciò possa accadere. Che queste attenzioni concorrano ad una crescita umana è una delle poche cose in cui fermamente credo. Per sicuro istinto.
Un saluto grande 🙂
A volte ci sono cose che servono, ci servono proprio in quel momento, mentre giriamo a vuoto inquieti, insoddisfatti, indecisi..bè, GRAZIE DEL REGALO.
Stamattina parlavo con mio marito del disagio del luogo dove vivo, bellissimo per l’ambiente naturale,( ho davanti agli occhi querce e voli di gazze,un piccolo bosco privato) desolante e sconvolgente per la povertà culturale e sociale, a meno di un ora da Roma.
Parlavo e mi lamentavo dalla difficoltà di crescere i figli in un contesto così povero ( ci siamo allontanati dalla città da molti anni) fantastico di una vita in altre nazioni più civili, con maggiori opportunità per il futuro …ho un disagio profondo e mi accorgo leggendo quanto sopra di non andare più, ne sola ne con mio figlio, alla scoperta del bosco.
…anch’io ti ringrazio caro Paolo di queste righe inattese lette vicino ad una nebbiosa finestra milanese che nn offre grandi possibilità..ma all’improvviso la luce si è trasformata e la mia anonima stanza è stata invasa dal rosa del sole….tutto è stato diverso…