Reinhard il duro
Reinhard il duro, così chiamavo da ragazzo, l’autore di uno dei testi più “schierati” che la letteratura dedicata ai giardinieri offre: Witt, Reinhard, CESPUGLI E ARBUSTI SELVATICI in natura e in giardino, nell’edizione italiana curata e ampliata da Massimo Pandolfi e Fabio Padovan per la Franco Muzzio Editore.
Il libro descrive 65 specie selvatiche utilizzabili in giardino, ma non fatevi ingannare dalle sembianze da semplice, innoquo manualetto: questo volume contiene uno dei più severi atti d’accusa rivolto all’industria del giardinaggio. Da ragazzo, nelle forme della prima edizione cartonata del 1987, ho letteralmente adorato questo testo. Lo vivevo come una sorta di libretto rosso che mi faceva dire che io mai avrei fatto il giardiniere ovvero mai avrei ingrassato quel mondo falso che produce piante false.
Ma leggiamo direttamente Reinhard , pag. 19:
Un vento di esotismo spira nei giardini e nei parchi: vi si trovano riuniti mezza America e mezza Asia, con forme e colori che accontentano l’occhio, con nomi esclusivi che stuzzicano l’orecchio e la fantasia. Nel contempo, negli assortimenti standard del passato decennio, sono stati introdotti cespugli coltivati che hanno provocato la scomparsa di elementi naturali, correttamente legati all’ambiente. Dalle aralie dell’Asia, ai noci della Cina, dagli arbusti aromatici nordamericani, ai chamaecyparis del Giappone, sia latifoglie che aghifoglie, a volte proprio importate, a volte varietà coltivate. Per esempio “Thuia occidentalis smeraldo“, selezione danese – una gemma già dal nome – e appena più ridondanti gli ibridi di rododendri con i pregevoli nomi “Baden-Baden” o “Professor F. Bettex“.
….
Degli arbusti selvatici propri dei nostri ambienti, come il biancospino, il salicone, il nocciolo, il sambuco, la berretta da prete, la madreselva, la ginestra e altrui, restano tali solo i nomi: l’invasione di una natura esotica da catalogo non gli ha risparmiati, eliminandoli dal giardino in cui un tempo vivevano. Prendiamo per esempio Crataegus monogyna, il biancospino. Atttraverso la coltura, da un biancospino si è ottenuto un rossospino – con fiori doppi, infruttuosi. Oppure il Pallone di maggio, che ha in comune con la forma spontanea, solo parte del nome scientifico: Viburnum opalus sterile è una selezione olandese. Di autentico nel “vero salicone nobilitato” non c’è nulla, il falso nocciolo è almeno più sincero nel nome, in quanto infruttuoso. La lista è lunga.
Si la lista di accuse è lunga: espressioni come “La moltitudine di cespugli ornamentali, così volentieri piantati in giardino, si caratterizza come un’insignificante fonte alimentare per gli animali selvatici” sono corollari incastonati fra le note botaniche delle piante prescelte. Ma è proprio sulla base di osservazioni come questa che negli anni ho iniziato a criticare la visione di Reinhard, almeno nelle sue estremizzazioni. Trovo giuste le considerazioni sulla sterilità delle piante da giardino, ma non tutte lo sono: ad esempio cosa dire della moltitudine di farfalle diurne attirate dell’asiatica Buddleia davidii o dei numerosissimi esotici Cotoneaster le cui bacche sono prese d’assalto dall’avifauna durante l’intera stagione autunno-invernale. Non mi fate poi parlare dei miei amati crabapple.
Witt salì alle cronache nel 1986 sulla rivista naturalistica Kosmos con un articolo intitolato “Tear Out the Rhododendrons” traducibile con un “Sbattete fuori i rododendri”: titolo chiaro e nessun dubbio sul destino in giardino per le nuove varietà e ibridi di rododendro. Ma forse è proprio grazie a questa veemenza che in Europa i suoi scritti contribuirono non poco al cambio di rotta verso scelte vegetali più rispettose dell’ambiente.
Ricordo i miei battibecchi giovanili con i vecchi giardinieri bolognesi i quali sostenevano che le piante in giardino devono essere quelle che in natura non ci sono: altrimenti che lavoro é? Che senso ha piantare vegetazione in grado di nascere e crescere da sola? Se oggi questi pensieri fanno sorridere lo dobbiamo anche al lavoro di Reinhard, al suo riportare in primo piano nel giardinaggio la sensibilità naturalistica.
Dove non riesco a seguire Witt, di formazione biologo, è nel suggerire la superiorità dell’ambiente selvatico sul coltivato: la policromia perfetta della natura contro l’artificio sterile del giardino. Come è possibile sostenere a fronte delle tante meraviglie della tradizione giardiniera la superiorità estetica di ciò che la natura preserva? Se così fosse la nostra esperienza di uomini sulla terra sarebbe quella di novelli e felici Adamo ed Eva. Così non è e tra le nebbie e i fumi della bassa padana la nostra spenta vegetazione è lì a ricordarcelo.
Reinhard sembra non considerare il potenziale creativo umano in relazione all’offerta sempre mutevole della natura. Io che pure sostengo l’idea di un giardino naturale intendo per questo uno spazio di incontro tra attività umane e non. Diceva un anonimo giardiniere americano più di un secolo fa
l’azione più naturale in giardino è la più studiata. Il giardino naturale non è figlio degli sviluppi spontanei ed incontrollati della natura, ma della cura di un artista maturo capace di intensificare gli effetti che la natura produce dando risalto ad una caratteristica e eliminando ogni elemento che distrae il fondo dallo scopo centrale della scena…
the most natural acting is the most studied art. So a natural garden is not one given over to the spontaneous and uncontrolled growths of nature, but one in which a finished artist intensifies the effects that nature produces by emphasizing a feature here and there and eliminating every element that distracts from the central purpose of the scene…
Anonimus, “Unnatural Gardening” Garden and Forest 8 (1885) 361. Trad. personale.
Insomma per farla breve penso che l’adesione sacrosanta ai meccanismi vitali degli ecosistemi non possa appiattire totalmente il nostro bisogno di bellezza e di espressione. Chiudo con una battuta, un incitamento: per il biancospino e il rossospino, insieme, sempre!
Un saluto grande 🙂
Comments
9 Responses to “Reinhard il duro”Trackbacks
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[…] Febbraio 2009 Meditando sulla discussione tra Silvio e Gatto Silvestre, mi è venuto in mente Ippolito e la sua definizione di giardino come […]
per fortuna il vento è cambiato! e se ai committenti propongo un corniolo, un sambuco o un nocciolo, vedo uno sguardo furbetto, pre-gustarsi il sapore selvatico dei frutti; qualche anno fa mi guardavano inorriditi!
Lo zoccolo duro dell’azalea pink e del tutto perfettino ha la scorza dura comunque, ma è giusto anche così|
ciao paolo, saluti selvatici, carlo alberto
ciao Paolo, bellissimo articolo, ne ho per ogni riga, quindi preparati e mettiti seduto con una camomilla in mano (se vuoi bio). Hai visto che alla fine sei diventato un giardiniere ingrassante quel laido e venale mondo di villici che lavorano per denaro? Sarà che tu come loro e come il fornaio o il fruttivendolo lo hai accettato (il denaro) come mezzo indispensabile per vivere. Certo mi puoi rispondere che il tuo anelito professionale (come dimostrato da questo blog) ti spinge verso una maggior integrazione tra la fruibilità di uno spazio verde e le tipicità del comprensorio dove questo spazio va ad inserirsi. Questo incredibilmente è l’unico aspetto che i sopracitati signori valutano.
FACCIAMO UNA IPOTESI: giardino obreggiato, fresco, ph del terreno leggermente acido e…. crimine: mi piacciono le acidolfile per cui pianto delle ASIATICISSIME azalee con camelie IAPONICHE e rododendri ibridi. E ti dirò di più: se potessi mi sposerei pure Afef (si lo so non è asiatica ma pur sempre alloctona, stupenda alloctona). Perchè? Perchè mi piacciono (Afef più di tutte), perchè ho voglia nel mio giardino di quelle piante e non di altre, perchè il biancospino non mi piace e punge. Il mondo si avvia a passi sempre più lesti verso la globalizzazione e noi non accettiamo nei nostri giardini di sperimentare colori e soluzioni diverse? E’ biodiversità anche riproporre piante che si stavano perdendo: vecchie varietà di meli da fiore, di cornioli e tante altre.
CAMBIO DISCORSO (e post, poi ritorno): I giardini di Libereso non sono giardini; sono delle sue scelte di vita, rispettabilissime, ma che non hanno la necessità di confrontarsi col vicino che ti dice” senta scusi se non taglia l’erba nel suo giardino fra un pò ci troviamo con le anaconde e i giaguari”. Le considerazioni di cui sopra sono forse adattabili per grandi parchi, ma l’arredo urbano sia pubblico che privato segue ormai altri parametri. I giardini sono
estensioni esterne di ambienti civili il cui valore è economico/cromatico.
E POI… E POI….. giardini come fonte di alimentazione della fauna selvatica… Ma non diciamo sciocchezze che se in giardino vediamo una talpa chiamiamo tutti la protezione civile!!!
Con civile rispetto
Silvio ex giardiniere
P.S. Come sono contento 🙂
Finalmente un poco di indulgenza verso chi , in piena pianura padana ha preferito ai piumini del pioppo due begli ulivi di 90 e 70 anni che ricambiano l’ accoglienza e la cura con una progressiva generosa offerta dei loro frutti ( primo anno 5 kg, secondo anno 7 kg, terzo anno 25!!!!).
Gentile quasi omonimo Silvio,
credo che “Reinhard il duro” saprebbe come usare la motosega sul suo commento.
Scherzo, naturalmente.
Come lei, del resto.
GS
Caro GS dubito che Reinhard il duro sappia usare una motosega.
Il mio commento sarà forse ironico ma è il pensiero di un professionista che è in questo settore da 25 anni e che di voli pindarici sul giardino perfetto ne ha visti tanti. Da chi appoggiava le zolle di alberatura per terra, le rincalzava di terriccio ed ancorava alla belle e meglio facendole passare per il sistema più naturale, a vivai che proponevano albizzie gelate e poi capitozzate a terra facendo passare il ributto come macro cespuglio. Impariamo a convogliare il nostro ego verso la conoscenza del materiale che usiamo e a saperlo sfruttare per il meglio. Inoltre ricordiamoci che i fruitori del nostro lavoro sono altri con le loro esigenze e gusti. Quando Witt scrive di sbattere fuori i rododendri dai nostri giardini vorrei solo informarlo che nel suo può, nel mio magari……
Gentile Silvio,
aldilà delle sue ragionevoli osservazioni, perché le danno tanto disturbo i tentativi di riaccogliere la natura in giardino? E se prendesse la cosa come un fenomeno puramente estetico o culturale? Se insomma venissi da lei come cliente e le chiedessi, anziché un giardino con i bordi misti o i laghetti con i fior di loto, un giardino-Libereso con piante resistenti al secco, bacche per uccelli e noci per roditori, la cosa le darebbe fastidio?
Se Witt si sbilancia così tanto nella direzione di un giardino più naturale è probabilmente perché, nel frattempo, la natura è divenuta una madre sempre più accartocciata nell’angolo dell’ospizio dov’è stata spedita. Questa predazione della sua anima mi pare per altro ormai condotta a un ritmo vertiginoso.
I giardini convenzionali, con la loro pretesa di funzionare “a prescindere”, perennemente attaccati alle macchine che gli forniscono cibo, farmaci e anti-tutto, sono tappe decisive verso il “deserto biologico”, dove non credo possano trovare ospitalità i suoi rododendri o gli olivi di bassethound.
Lei crede che possiamo ancora permetterceli, tutti questi giardini?
GS
Gentile Gatto Silvestre
Se Lei mi chiedesse di creare un giardino con le essenze che propone ne sarei veramente felice perchè finalmente farei un giardino diverso dal solito ed estremamente gratificante per la difficoltà di abbinare ad esempio erbacee perenni con essenze arboree di uso non comune. Sarebbe mio compito di professionista avvisarla che alcune di esse hanno caratteristiche che necessitano di particolari attenzioni ( le lumache per le Hosta, i terreni acidi per le acidofile, l’ombra per le hidrangee, le ericacee ecc ecc). Fatto questo il mio compito di impiantista si esaurisce per lasciare il posto al manutentore, sempre che lei nel SUO giardino non lasci alla natura libertà di crescita ed espressione. Libertà legittima ed encomiabile ma gradirei la stessa libertà per gli ulivi di bassethound e per tutti quelli che stanno pagando un mutuo per una casa e un giardino e si trovano con delle imposizioni anche sulla scelta delle piante da piantare ( vedi divieti per crataegus e altro). Libertà nel non dover vedere capitolati di aree verdi pubbliche costituite esclusivamente da lonicera, lavanda, celtis australis, tillia hibrida argentea, acer canpestre, corilus avellana, viburnum tinus preoccupandosi esclusivamente dell’aspetto economico. L’errore di fondo è che si confonde il giardino con la natura nel suo insieme. Il giardino è un pezzo di natura che mi sono portato a ridosso della mia casa per il mio piacere, per potermi concedere un piccolo polmone verde nel luogo dove vivo, per poter dare uno spazio ai figli o agli animali domestici. E nel mio giardino vorrei il prato tagliato perchè mi piace maggiormente di un prato incolto ed inoltre perchè al contrario di Libereso non so riconoscere la differenza tra un radicchio di campo e un tarasacco, rispettando anzi ammirando chi può dedicare parte del proprio tempo alla natura se non addirittura vivere in connubio con essa. Mio padre vive in montagna a 700 metri di altitudine in una casa in sasso attorniato da boschi, si alza insieme a cervi, daini, cinghiali, volpi, ogni varietà di bacche e prodotti del bosco (anche se è due anni che non riesce a raccogliere un prodotto dal suo orto perchè gli mangiano tutto) tutto questo perchè è in pensione e ha tutto il tempo a sua disposizione. Non è sempre così.
Concludendo: la battaglia per il rispetto alla natura non credo che vada combattuta sul fronte dei giardini anche se tante cose si possono fare, bensì su fronti ben più ampi e già aperti con gli studi sulle impronte ambientali, sulle risorse rinnovabili, energia e sulla riposizionatura dell’uomo sulla terra. Se si pensa che “farmaci e anti-tutto, sono tappe decisive verso il deserto biologico” non credo si abbia centrato il problema di fondo.
GS, spero di rileggerla presto nel prossimo commento e invito altri ad esprimere il proprio pensiero.
Silvio
Gentile Silvio,
mi è molto gradito accettare il suo invito a proseguire la discussione, con la compiacenza mi auguro del signore illuminato che cortesemente ci ospita e potrebbe, diversamente da Reinhard (come lei sostiene), procedere in qualsiasi momento di motosega…
La ringrazio per altro per aver accettato il mio tono un po’ ottocentesco, davvero inadatto al mezzo che stiamo usando, e il cui solo pregio è forse quello di imporre un certo rispetto per i temi di cui si parla, dentro ai quali il giardino sta come un grappolo d’uva nel cesto della frutta.
Tuttavia ci sta, eccome. Per cui le chiedo: perché il giardino no? Mi spiega perché io, ormai suo Cliente per antonomasia, sia dispensato dal farmi certe domande e assumere certi comportamenti? Perché non dovrei riflettere sulle vicende del mio olivo centenario o sull’impatto delle mie hosta (con relativo carico di lumachicida) sull’ambiente? Perché non dovrei ingegnarmi nel trovare dei sistemi intelligenti per impedire che, come a suo padre, un’intera annata dell’orto vada compromessa dall’appetito degli uccelli per semi e germogli? Mi perdoni la domanda retorica e un po’ tronfia, ma lei crede che l’universo, anche nelle sue forme domestiche e minimali, ammetta l’ignoranza o l’indifferenza?
Guardi, una cosa non pretendo: una rivoluzione culturale che trasformi tutti i giardini in ritagli amazzonici. Ma ho come l’impressione che lei si arrenda troppo presto. Che sottovaluti le potenzialità di trasformazione e di arricchimento del giardino-icona, come se esempi già compiuti e straordinari come il Casoncello, di cui in questo blog si è parlato, fossero eventi improbabili e irripetibili. Insomma, che si affidi un po’ troppo al mestiere e non pensi che, prima di arrivare agli antibiotici, basterebbe far intingere preventivamente il bambino nel fango, ogni tanto.
(Cosa che, a occhio e croce, sospetto sia un’esperienza che le appartiene, Silvio.)
Cordialmente,
GS