Contadinanza attiva, per dirla come Gianfranco Zavalloni
Ricevo da Patrizia Cecconi, autrice di “Belle e selvatiche. Elogio delle erbacce” per i tipi di Chimienti editore, questa “relazione” di una visita a contadini…
L’ORTO DEGLI INVISIBILI
Siamo alla periferia di Rieti. Fernanda, che viene dal Brasile e sta fotografando esperienze italiane di orti di vario tipo; Eleonora, che è la guida-interprete-amica-agronoma che l’accompagna ed io, che ho proposto la visita ad un orto particolare. Particolare non per le pratiche di coltivazione, anzi quelle sono assolutamente tradizionali: zappa, vanga, concime biologico e diserbo manuale. La particolarità di quest’orto consiste nell’ubicazione e, soprattutto, nei suoi curatori: giovani uomini e donne arrivati dal mare e richiedenti asilo, alias, clandestini. La storia è lunga, ma è abbastanza simile a quelle sentite tante volte. A parte il finale, però. Sì, perché non a tutti è capitato d’incontrare un Antonio che quando dice “cittadinanza attiva” intende proprio la capacità di attivarsi per chi non gode dei diritti spettanti a tutti.
Antonio otto anni fa ha comprato un casale. Uno di quei casali che fanno parte del paesaggio come fossero querce secolari, ma che ormai, come spesso avviene anche alle querce secolari, quasi nessuno cura più di tanto. E’ una costruzione del 1300, cioè ha circa settecento anni e deve aver svolto bene la sua funzione nel corso dei secoli, tanto che verso il 1930 le hanno costruito accanto un grosso fienile.
Quando edificarono il casale non esisteva certo la ferrovia e, ovviamente, neanche la superstrada. Figuriamoci se poteva esserci il viadotto dell’autostrada! Ora invece c’è tutto questo, e così il casale è diventato “invisibile”. Per arrivarci bisogna proprio sapere dov’è.
Lì comincia la dimostrazione che Antonio dà al mondo: il paradiso si può assaporare anche sotto un mostro di cemento, ed un gioiello del 1300 destinato all’abbandono può diventare un bellissimo casale “invisibile”, e la sua terra può tornare a produrre diventando un orto “invisibile”, e uomini e donne senza documenti che li rendano giuridicamente visibili possono coltivare (come sanno, senza grandi tecniche, per ora) zucchine, insalata e pomodori e aspettare che prefetture, consolati, ambasciate e amministrazioni varie esaminino le richieste di chi, in una lingua non sua, cerca di spiegare la propria condizione di rifugiato politico o di chi chiede asilo per fuggire dalla disumanità della fame, dei massacri e delle guerre combattute con armi che hanno l’unico, ma immenso pregio, di far crescere il pil dei paesi fornitori.
Antonio è fiero del suo casale. Un casale che nascosto com’è ha perfino la faccia tosta d’avere un numero civico! In più ha l’orto, ed anche di questo Antonio è fiero. Ad essere franchi bisogna dire che di orti lui se ne intende poco, ma è giustamente fiero di aver affidato il suo terreno, facendone un vero “orto di pace e di speranza” nelle mani di Nuguse, eritreo di 24 anni; Saba, madre di due figli affidati ai suoi parenti e con un marito ancora in un carcere eritreo per motivi politici; Alì, somalo di 30 anni, sfuggito alla morte in Somalia, in Sudan, in Libia e infine sbarcato sulle coste italiane, come Amanuel e Samiel e Aleen e Solomon. Loro sono gli affidatari più assidui, ma spesso sono aiutati da altri amici somali ed eritrei con cui hanno condiviso il terrore, le torture, il carcere, le fughe e infine la speranza.
…
Antonio ci mostra la grande produzione di zucchine e ci racconta di quanto erano felici i ragazzi quando hanno tagliato le prime piante di lattuga. Ci mostra le foto dei lavori e spiega che tutto è cominciato solo a fine marzo quando, col sostegno di Arci e Cittadinanzattiva, uomini e donne di buona volontà (ed io vorrei aggiungere di grande tenacia e alti ideali) sono riusciti a superare le panie burocratiche ed a salvare da un rimpatrio forzato molte decine di rifugiati riuscendo a far avere loro lo status richiesto, cioè quello di rifugiati per motivi umanitari e di rifugiati per accoglimento di richiesta di asilo politico. E’ stato allora che lui ha dato vita a questa idea di orto solidale che pian piano si sta strutturando producendo zucchine e allegria, pomodori e speranza, insalata e amicizia. Ci dice pure che parlando con Amanuel, Saba ed alcuni altri, aveva pensato fosse opportuno avere una produzione autonoma di uova e così ha lanciato una sottoscrizione per l’acquisto delle galline. Sei persone si sono fatte socie ideali del suo progetto “sottoscrivendo” ciascuna una gallina. Ed ora, gli amici che hanno dei bambini piccoli, potranno usufruire delle uova fresche del casale invisibile.
…
Chiedo a Saba se vuole raccontarmi com’ è arrivata, ma lei non parla italiano e poi, quando neanche l’inglese (che io peraltro mastico poco) la sostiene, capisco che preferisce non entrare nei particolari. Mi spiega che in Eritrea è stata arrestata con suo marito e poi è riuscita a fuggire in Sudan vivendo nella disperazione dei campi profughi. Da qui è andata in Libia dove è stata nuovamente arrestata e quindi scarcerata dietro pagamento. Così vengo a sapere che in Libia si esce dalla galera pagando l’equivalente di 150 euro alle guardie carcerarie, le quali spartiscono parte della cifra con altri personaggi in divisa, che vanno a caccia di immigrati irregolari per ripetere il “gioco” finché è possibile. Dai non detti di Saba capisco cosa subisce una donna arrestata, oltre al pagamento del riscatto alla delinquenza in divisa, ma purtroppo questo pur indignandoci non ci stupisce. Parlo con gli altri ragazzi e scopro che sia Alì che viene dalla Somalia, che Nuguse, Samiel, Amanuel, Solomon ed Aleen che vengono dall’Eritrea, sono passati per i campi profughi del Sudan e da lì sono finiti in Libia dove hanno conosciuto, tutti, l’esperienza della galera.
La cosa che mi fa grande impressione è vedere con quanta rapidità le loro espressioni cambiano e come i loro occhi si illuminano quando chiedo loro di parlarmi di questa esperienza nell’orto invisibile. Pur se abbiamo il grosso problema della lingua, quel che mi sembra di capire è che per loro tirar fuori del cibo dalla terra è come sentirsi parte di questa terra. E’ una specie di cittadinanza virtuale acquisita sul “campo” in senso proprio.
Ho proposto ad Antonio di seguire e di far seguire ai ragazzi dei corsi di permacultura o di agricoltura biologica e lui mi ha confessato che qualche “esperto” gli avrebbe detto che è troppo vicino alla ferrovia per poter avere un orto biologico. Ma pensate che potere hanno gli “esperti”: un campione dei diritti umani, uno che riesce a restituire il sorriso a uomini e donne disperati; uno che riesce a far vincere il bello e l’allegria sulla bruttura e la pesantezza di un’arcata di cemento, viene fermato da un “esperto”, come se la certificazione di biologico fosse l’unico modo per portare avanti una coltura biologica! Come se, visto che tanto lì vicino ci passa un binario di treno, tanto vale aggiungere i pesticidi! Ma tre secondi dopo questa riflessione Antonio già mi diceva che sarebbe molto bello se io (appassionata di erbe selvatiche) facessi qualche incontro conoscitivo al casale invisibile e, cosa più importante, se si potesse organizzare un corso per insegnare almeno i fondamenti della permacultura.
Cara Fernanda, a questo punto immagino di averti davanti e di poterti dire che se un giorno ripasserai dalle nostre parti verrai chiamata per una consulenza in questa comunità, nata dai principi della “cittadinanza” attiva e che, dopo aver messo le mani nella terra, ha cominciato ad acquisire quelli propri di una “contadinanza” attiva (1). E’ la dimostrazione che quando società civile e natura lavorano in sintonia il miracolo si avvera, così come è stato per il campo di Antonio e dei suoi amici, che da terra incolta s’è trasformato in “orto di pace”, nonostante superstrada, ferrovia e ostacoli legislativi più grigi, pesanti e opprimenti dell’arcata di cemento che lo sovrasta.
Patrizia Cecconi
[1] Questo termine è suggerito da G. Zavalloni e porta con sé il giusto tentativo d’invertire la tendenza a considerare di serie B il lavoro legato alla terra.
..sarebbe veramente bello se anche noi,da lontano,potessimo adottare una gallina o inventarci qualsiasi altra forma di collaborazione..che sò..spedendo dei semi…facendo circolare questa notizia così rasserenante rispetto allo squallido panorama ,nn solo fisico,che ci circonda..aspetto fiduciosa..sil.
Silvana sei fantastica, mi ricordo i tempi in cui volevi Paolo come capo giardiniere in un ipotetico parco e già allora volevo ricordarti che se chiami Paolo come ” capo giardiniere” poi devi chiamare anche qualcuno che lavora ( nel senso che se fa il capo non può fare il manovale). Ma veniamo al presente: vuoi adottare una gallina. Viva o morta? Alla coop te ne fanno adottare una per 6 euro. Altrimenti chiami Amadori che te ne fa adottare 20000 in un colpo solo poi te le porta un po per volta a casa. Oppure vai da un contadino gli dai 10 euro e gli dici quella gallina è mia e te la porti a casa.
Poi vuoi spedire dei semi a chi?
Qual’è la notizia così rasserenante da fare circolare? Che un signore ha fatto un orto in un terreno abbandonato e adesso cerca di aiutare delle persone più sfortunate. Tanta di cappelo all’iniziativa che sarebbe egualmente meritoria se avesse fatto una falegnameria o una lavanderia. Ma il Sig. Antonio è migliardario di suo o lo è diventato con l’orto. O più semplicemente tutta la barca stà in piedi con le sovvenzioni che riceve. Il tutto saggiamente ammantato di BIO o PERMACULTURA ECOSOSTENIBILITA’. Anni indietro collaborai per un breve periodo con un’ azienda sociale: quello che mi era richiesto erano progetti mai la loro fattibilità economica, e ancora adesso in tanti casi vedo idee che stanno in piedi esclusivamente con puntelli esterni.
Comunque non ti preoccupare Silvana la notizia la facciamo circolare, nella scuola di ferrara hanno messo i cartelli con l’obbligo di volerci bene, il Papa vuole la pace nel mondo, per mercoledì o giovedì al massimo siamo a posto.
ciao
Silvio c’è bisogno del suo senso critico per un altro argomento. (su quello qui sopra per fortuna si sbaglia ma capisco il sospetto). Però legga qui. Questa è successa proprio a me.
Una grande onlus che si muove in difesa della natura, ha censurato il vino come prodotto risultante dalla lavorazione della vigna e dell’uva, in un kit educativo per le scuole. Sapere che dall’uva viene il vino, sarebbe a loro vedere, un incentivo alla ubriachezza.
Nei miei amarcord c’era il piacere di succhiare un po’ di vino dal dito intinto nel bicchiere, cosa, immagino, dannatamente rischiosa. Comunque a me il vino piace ma non sono rimasta bassetta, né mi ubriaco.
L’esperienza mi porta solo a dire che questo è un altro passo per allontanare dalla conoscenza della terra, dei suoi prodotti, della loro utilità o piacevolezza per l’uomo (e la donna).
Se penso a come mostro i canini se qualcuno si avvicina troppo alle mie zucchine, trovo davvero miracoloso che intorno a un pezzo di terra coltivato a ortaggi si sviluppino così tanta socialità e, scusate la parola, amore.
Quello che sta accadendo nel mondo grazie agli orti non ha nulla di scontato ed è, a mio parere, GIUSTO a prescindere da qualunque opportunismo, velleità o moda. Che la gente si unisca e faccia: io li ammiro. Poi saranno affari loro se spennano la gallina che Silvana ha adottato a distanza.
A proposito di adozioni. Ormai ho deciso: da grande voglio fare il GCC (Garden Coach Coach) o il GCT (Garden Coach Tutor/Trainer), non ho ancora deciso. In sostanza vorrei vivere, secondo l’unità di misura filosofica di Silvio, di nulla assoluto. L’idea sarebbe quella di insegnare agli Aspiranti Garden Coach come svolgere la loro attività. Ho già iniziato con Marina, quindi, che lei lo voglia o no, sarà la mia prima Student.
Dunque, cara Marina, la regola numero uno del GC è: flessibilità. Incontra una cliente tipo-scavezzacollo come Valeria che lessa le piante alle due del pomeriggio? Respiri profondamente. Sorrida. Pensi che la cottura a vapore è una delle migliori. Poi le scriva una lettera, ma in formato word. La tenga sul desktop un paio di giorni, poi la rilegga. Cola ancora sangue? Non la spedisca! Fissi un appuntamento di un’ora per vedere il giardino e farsi una tisana. Ma attenzione: non quella che ha fatto bere a Silvio, altrimenti siamo daccapo e il bonifico le sfuggirà.
Per casa: work shop intensivo di bon ton e scrittura con Oliva di Collobiano.
GATTO s e i M I T I C O ! Bentornato.
invito tutti per una tisana e una frittata di boraggine. La gallina non c’è ancora ma gli aironi cinerini sul fiume si.
Poi visita guidata a casa degli amici che, causa un morso di vipera al capofamiglia, hanno ordinato 1 tacchino con 4 concubine pensando che, pur essendo vegetariani, se la vita va in quella direzione, si può anche pensare di tirargli il collo.
Mi avete fatto ridere alle 7 di una mattina che si preannuncia la più calda del momento.
Buon proseguimento.
PS: se non c’è qualche omonima ho pensato di cambiare il mio nome con lo pseudonimo di VISPA TERESA.
a presto.
le rose hanno anche le spine e i rovi hanno anche i fiori.
caro signor silvestre che piacere risentirla,sono molto onorata di essere la sua prima student,cercherò di seguire i suoi consigli e farò i compiti a casa la ringrazio di cuore.
cordiali saluti a tutti.
ps:il mio nome da student sarà : rosmarina.
Attenzione ora… che Paolo non rimetta il suo cartone animato con i due personaggi sull’albero… 😀
Però… la proposta del Gatto non è male. In effetti sono molte le volte che gli amici chiedono a me, solo per il fatto che sanno che amo le piante, consigli di ogni tipo per i loro coraggiosi davanzali o terrazzini strappati al deserto della città! E io non sono neppure giardiniera!!! Semmai giardiniera d’infanzia ma neppure quello! Però se una volta ci si alzava alle cinque del mattino per spiare il segreto di un mezzadro avaro dei suoi segreti, ora, malgrado l’editoria del verde sia abbondante, il “fare” stesso è un segreto. Perché segreti sono i funzionamenti di un mondo che la maggior parte delle persone non conosce più. Arridalli con la parola “conoscenza”. Come si dice a un garden coach che si ha un problema con quei cosi verdi con le ali che riempiono quei fiori lì? Ecco allora che il garden coach insegna la lingua, la fisica della materia, la biologia spiccia, qualche magia… Poi ci sono anche i garden scotch e i garden scòccia… Ma è un altro discorso.
Emanuela, mi sta forse dicendo che vuole venire anche lei ai corsi di formazione o che le interessa solo l’happy hour serale? Ha tempo fino a settembre per pensarci, perchè adesso è tempo di vacanza e anche noi gatti ci infiliamo nella gabbietta in direzione pensionato per animali. Però, lasci dire, Garden Scotch è bellissimo. Ho visto che anche il Neo-Selvatico ha gradito.
La classe promette bene, sa? Ma si deve trovare anche lei uno pseudonimo etobotanico, perchè il GC è un artista, e come tale necessita di un nome d’arte che sopporti il peso della sua creatività. Non sono io che lo voglio, ma il Preside, James Hillman.
Quindi, cara Valeria, la sua iscrizione è subordinata ad una piccola sostanziale modifica: non Vispa, ma Vespa Teresa. Concilia?
Rosmarina invece è perfetto.
… Capperi Silvestre: tu stuzzichi davvero. Ci ho voglia del rilancio e l’abbandono di tutti i corsi e ricorsi del giardinaggio d’oggi: selvatici e in movimento compresi. Alè Gatto, da oggi ciribiricoccolo: giardini in sommossa! Fiori che si ribellano, si travestono, scappano… Giardinieri che non vangano, oziano, riviste che non patinano, raspano, frutti che non piacciono ma… allucinano 😉 Son già a pensar il titolo del prossimo beast seller Elementi di Giardinaggio Birichino
Carissimi, ho deciso, mi accingo, con sacramento e grande impegno!
Ah, Terribile Gattaccio: alla lettura mattutina mi era sfuggito l’affronto 😈
Sicchè lei qui nel più winniccottiano dei blog del globo giardiniero viene a proporre nientemento che quel incantatore di James Hillman. Ma si rende conto che è come andare nella Fossa dei Leoni a gridar Chinaglia Chinaglia?
Senta caro Lei, su questioni vegetali ho imparato ad esser morbido come un germoglio ma sulle faccende psicoqualcosa invero i miei cervelletti d’antan scattano come molle e a nulla vale quel poco di corteccia che apparentemente mi governa.
Gatto avvisato gatto salato… Bubusetette
P.s.
per battagliare a pallini pari segnalo un post con gli emoticon accettati da WordPress. Basta ricopiare il codice (senza parentesi quadre) e il pallino è fatto 8)
http://gpessia.wordpress.com/2007/03/25/tutte-le-emoticon-di-wordpress/
CARA VALERIA…..
NON SO DEI TACCHINI MA A ME HANNO APPENA REGALATO DUE POLLI RUSPANTI
(ARRIVANO DA UNA FATTORIA BIOLOGICA DI AMICI) E NON SO COME FAREE…
CIAO
Allora rilancio con Montessori e Malaguzzi. Il giardino degli uccellini, non solo progettato ma anche realizzato in un nido di Reggio, è una delle cose più belle che ho visto in vita mia. Il titolo del beAst-seller mi piace da matti.
ok Gatto hai vinto.
Mi chiamerò VESPA TERESA perchè oltre ad avere il pungiglione dello scorpione nel mio giardino si catturano le vespe calabrone con la grappa. Non conosco il preside ma se mi si danno informazioni ulteriori potrei portare con me un altro testo per le vacanze.
Però Paolo non abbandonare i corsi e ricorsi perchè mi sto per reiscrivere; vanno benissimo gli elementi di giardinaggio birichino.
A tutti studenti e docenti BUONE VACANZE e speriamo di aver già annullato i debiti.
Ma gli attacchi di metaforite le vengono così, random, o solo la mattina presto, caro Paolo? Non entro nella questione Winnicott-Hillman per tre motivi: non conosco abbastanza bene il primo; non padroneggio sufficientemente gli emoticon da non rischiare altri casi diplomatici con Silvana; sto imbiancando casa e il tempo mi manca. Comunque si ricordi che se il blog è Winnicott-oriented, nella mia scuola il Suo al massimo può fare il vice-preside.
In compenso, gli Elementi di Giardinaggio Birichino sono già fra i libri di testo della scuola medesima. Si ricordi di vestirsi da Edmondo de Amicis nella foto in terza di copertina, perché quel “birichino”neanche le suore sanno più cosa vuol dire. Le suggerisco di pensare subito alla collana. Visti i tempi, proporrei un “Elementi di cavoleggio”, testo fondamentale per il kitchen garden di chi si prende poco sul serio ma ci tiene al minestrone fatto in casa…
Ma come pensa che prenderà tutto questo Silvio? Secondo me lancerà il rastrello a un paio di chilometri di distanza e deciderà per il ritiro immediato dal blog e dall’attività. Magari ha già affittato una cella all’interno della Scuola Agraria del Parco di Monza, località monacale per antonomasia. Si ricordi di portargli una crostata di rabarbaro del Casoncello, quando va a trovarlo, perchè là al massimo succhiano le radici di fotinia.
PS: Ogni fiore è occasione per conoscere il Preside, Vespa.
suggerisco come testo questo bellissimo Repertoire des couleurs
Fai clic per accedere a rpertoiredecou02soci.pdf
suggerisco un corso di botanica sistematica: si scrive photinia. Errore perdonabile a chi non è abituato a scrivere preventivi bensì a prospettare didattiche alternative.
ciao
Dai, Silvio. Non faccia come l’altra volta. Fotinia è comunemente accettato come nome comune della Photinia, che altrimenti avrei scritto “Photinia”, magari anche in corsivo botanico, così era più contento. In ogni caso, brutta parola per una pianta, povera lei, dal non-so-chè piuttosto industriale.
A me mi piace fotinia, e talvolta la uso come succedaneo di un’imprecazione. Però non mi spiego oltre, che con camporella e simili faccende in passato è successo un putiferio.
Invece: riguardo al Celtis australis, ha ragione lei. Perchè mettere il semino in un campo di basket, quando ci sono un sacco di capannoni industriali dismessi (e non) dove farebbe tanto del bene?
Gs mi sono divertito per un attimo a pormi dietro la cattedra, torno subito in ultimo banco a fare il cattivo della classe.
Alla prossima…