Sono passati ormai due anni dalle nostre riflessioni/schermaglie sui castagni di Poranceto. Tanti i post su cui abbiamo discusso. Che questo manipolo di piante freak, tagliate e ritagliate nei secoli sia ancora motivo per riflettere non può che farmi piacere. L’occasione è una mail ricevuta: chi scrive è un climber di professione, questo il suo sito. Dopo la lettura, che molto ho apprezzato, sono andato a riprendere i nostri dibattiti. Ci siamo chiusi ognuno nella propria visione: l’abbiamo cristallizzata.
Ho chiesto a Mauro il permesso di pubblicare questa mail con l’idea d riprendere il filo, cercare di più, mettere assieme nuovi elementi nuove possibilità e riaprire il confronto.
Voglio proporvi due testi, il primo è della benemerita collana Oltre i Giardini promossa da Michela Pasquali: Hansjorg Küster, Storia dei boschi dalle origini ad oggi Bollati Boringhieri, Torino,2009. Il secondo è il bellissimo, purtroppo ancora non tradotto nella nostra lingua Richard Mabey, Beechcombings: The narratives of trees, Random House, London, 2011.
Sono lavori che offrono uno sguardo nuovo, attento, fresco e restituiscono il piacere di avventurarsi in un mondo/bosco mai sufficientemente compreso.
Vi lascio alle parole di Mauro
Leggo ora, con un ritardo di quasi due anni, essendo piovuto per caso su questa pagina web, la vicenda dei castagni del Poranceto. Nell’agosto 2010 ho passato molte giornate su alcuni di quei castagni rimuovendo il secco e piccole frazioni verdi deperenti, con lo scopo di migliorarne un pò le condizioni di sicurezza. Il fine era quello di allestire un’area in cui effettuare un workshop di treeclimbing durante le feste della castagna e della smielatura, tradizionali al Poranceto: un mezzo ‘subdolo’, attuato con qualche pratica funambolica di sicuro effetto, per catturare l’attenzione della gente, ed approfittare poi per parlare di buone pratiche di arboricoltura ornamentale.
Impresa titanica, che coinvolge una bella fetta della mia attività professionale.
I soliti vecchi del luogo, simbolo perfetto del pensiero comune, col solito calice di vino davanti, scuotevano la testa: tutto tempo perso, sembravano dire nel loro ciondolio, e magari qualcuno avrà pure pensato che si siano spesi dei soldi per fare tutto ciò. In effetti soldi, e soprattutto tempo, ne sono stati spesi tanti; ma erano tutti soldi e tempo miei.
Non c’è niente da fare: quando si pota, o cascano per terra quintali di legna, o non è una potatura. E soprattutto, dobbiamo essere noi ad insegnare agli alberi come crescere sani e forti.
Per questi motivi, il macello attuato su alcune zone del bosco, inclusa la bruciatura del sottobosco che, a vederne gli esiti, pare essere stato più un mezzo incendio boschivo che una pratica colturale più o meno ammissibile, è stato accolto dai locali con grande entusiasmo: ecco rinascere l’antica cura per il bosco! (a onor del vero, anche alla luce di moderne pratiche castanicole, l’intervento mi pare comunque piuttosto aggressivo e condotto molto a caso…).
Nel sottobosco cinereo e polveroso tuttavia qualcosa rinasce: l’attenzione di alcune persone, i soliti inguaribili poeti ultrasensibili; ed una domanda: dove vogliamo ricercare la bellezza, se non in questi luoghi?
Anche quest’anno credo che il Parco mi assegnerà uno spazio nelle succitate feste; volevo proporre una sorta di mini conferenza, tavola rotonda, dibattito o che dir si voglia, avente come tema gli alberi. Qualcosa del genere la sto già proponendo in varie forme (scuole, gite guidate, convegni – o meglio: appendice a convegni di arboricoltura-), e porta il titolo: cos’altro sanno fare gli alberi oltre alle mele e alle pere? Ho visto che la cosa funziona: gli argomenti stupiscono, sorprendono, e soprattutto avvicinano le persone agli alberi. Forse non più solo un pezzo di legno ingombrante, sporcaccione e rompiscatole: magari invece un essere vivente straordinario, senza il quale la nostra esistenza non sarebbe possibile.
Ogni contributo e confronto è gradito. Come reperirmi è facile.
Saluto e ringrazio dell’attenzione
Mauro Zanichelli
Filed under Natura maestra · Tagged with Beechcombings: The narratives of trees, castagni secolari, coltivare la bellezza, Gestione Forestale Sostenibile, Michela Pasquali, Oltre i Giardini, Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone, Poranceto, Richard Mabey, Storia dei boschi dalle origini ad oggi
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18 Responses to “Una mail per Poranceto”Trackbacks
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Tempo | Attraverso Giardini ha detto:
[…] Non son forte io a capir le piante e non so se questo agitarsi era per il vento da sud o per i commenti nostri o per i passi miei. Io ho cercato di non far rumore e per non sembrar grullo ho portato pur […]
Stranissimo…….ho come un improvviso indolenzimento al capo che mi porta a ciondolarlo a destra e sinistra e un pensiero che sento come… comune mi pervade: ho sete vado a bere un bicchiere di vino.
Silvio Silvio
il bicchiere è per i seduti. Diciamocelo: io e te abbiamo una certa età e questi giovani hanno idee nuove. Sbaglieranno ma fanno, anche noi abbiamo fatto e sbagliato. Io apprezzo molto il tentativo concreto di salvare quelle magnifiche forme. Comunque dai al bar del bosco vengo anch’io: non ora magari e non a Poranceto. Ciao caro 🙂
“il fine era quello di allestire un workshop di treeclimbing”………….aumentare il target con una operazione di marketing e quale migliore location dei castagni di Poranceto. Data la funambolicità del gesto atletico andavano bene anche i pali della luce di Piazza Maggiore ma andava a discapito della scenografia. Già che lanciamo il trend perchè non organizzi anche dei corsi da gardencoach o da landscapeplaner, pensa che bello stage: Poranceto, Fukuoka e le cure per le coliche da castagnaccio.
tora tora
DIFFIDO CHIUNQUE DAL POSTARE LA FRASE: “SILVIO È RIDISCESO IN CAMPO”
…però è sempre divertente leggerti…ciao Silvio bentornato ! silvana
Silvio è salito sul castagno.
Pota Pota.
…ehi.. è tornato anche Gatto Silvestre..ciao pure a te… silvana
Saliamo sull’albero scendiamo dall’albero, sempre ci portiamo dietro il nostro sguardo, il nostro occhio. Se ho in testa la castagna voglio la castagna e quindi poto e ripoto l’albero, se sono un naturalista non tocco nulla e godo cercando nel legno in decomposizione tracce di rari funghi e mostruosi coleotteri.
Se sono un esteta un ornamentale sbircio le forme e ne cerco il carattere il tipo. Ma anche qui mi divido, mi separo.
Ai primi dell’Ottocento John Claudius Loudon il famoso paesaggista inglese quando trovava nei giardini da ricomporre una vecchia pianta ceduata ad altezza spalla non aveva dubbi: via con l’esplosivo. John non sopportava quelle forme contorte nodose che facevano a pugni con la sua idea di grande giovane nazione che conquista il mondo e che quindi ha bisogno di fresche alberature senza tagli e macchie lanciate con ardore alla conquista del cielo.
Pochi anni più tardi dall’altra sponda del mare un gruppo di artisti parigini trova nella selva antica di Fontainebleau una fonte di ispirazioni e inizia una battaglia per difendere il bosco dai forestali che vorrebbero trasformare il luogo in una coltura di conifere ad altofusto.
E’ nata così la prima area protetta della storia e tutte le opere che i tanti artisti hanno generato in quei luoghi hanno contribuito alla ricchezza francese e dell’arte tutta. Ancora oggi esiste un florido turismo alla ricerca di quelle vicende.
E Poranceto? Cosa si fa a Poranceto?
Caro Paolo
Sulla riflessione legata alla cristallizzazione della conflittualità ti posso dire che è ovvio che A continui a dire A senza ascoltare B che continua a ribadire B. Il perché sta nel fatto che la conflittualità non si fonda sui contenuti ma sul potere che ognuno di noi vuole imporre sull’altro, in altri termini, sulla relazione.
Altro sarebbe il contrasto. Che al contrario è focalizzato sul contenuto.
E in un Blog, ma anche su Facebook, ma anche al bar, esistono spazi di narcisismo che sono incontrollabili e che danno benzina al fuoco sacro di questo modo di agire.
Per Mauro che vuol fare un convegno, di primo acchito mi vien da pensare che abbia del tempo libero. E che anche se l’idea è poeticamente suggestiva ( oggettivamente il posto è bellissimo), da un punto di vista comunicazionale si fa fatica.
il terzo tema che io ti pongo è assolutamente personale ed egoistico. Mi capita sempre quando vedo posti bellissimi che vorrei diventassero solo miei. Per questo ti dico: Se a Poranceto accorressero migliaia di persone per vedere gli alberi, consumare, fare pic nic, far scorrazzare in modo molto italiano i bambini per il parco e disseminare cacche dei loro cani per tutto il bosco, questo posto, potrebbe ancora definirsi Poranceto?
E noi potremmo ancora con un filo di inconscia autoreferenzialità vivere il sogno di possedere qualcosa di esclusivo come quel posto, anche se solo nella nostra immaginazione?
Credo che certi posti debbano rimanere nascosti alle persone che non possono capirli.
Per evitare che li distruggano con la loro volgarità.
Buongiorno Silvana!
Ma è vero che la sera recita a memoria “Come un giardiniere” ai suoi nipoti?
Così mi han detto…
Volevo dire una cosa ad Andrea Pagani.
Che sono d’accordo. Non su tutto, ma sono d’accordo.
E che se dovesse andare a rileggersi la prima cosa che ho scritto a Paolo, un secolo fa, su Poranceto, era esattamente l’ultima che lei dice.
Non fui mai perdonato per questo. Anzi.
Sa quella zampina di pelo che Silvio tiene appesa allo specchietto retrovisore della motosega, no? E’ mia.
Volevo dire una cosa anche al Silvio:
Silviooooooooooooooooooooooooo
Buonasera a tutti
certo che questo bosco di Poranceto è magico, ha il potere di ravvicinaci di farci sparire e poi rincontrarci, che bello, speriamo non lo distruggano.
Ci sono ricaduto!
Un segno di immaturità e mi odio per questo.
Avevo giurato di restare su Giove e di non curarmi dell’esistenza di cappellai matti, leprotti marzolini e regine bianche e rosse. Invece ho guardato nel telescopio e eccovi li, tutti in cattedra a insegnare “giardino” con le tessere di associazioni ambientaliste in tasca, lo zainetto trendy sulle spalle, la (troppa) poesia in testa, le (poche) giornate di “campagna” nelle braccia, le soffici poltrone cittadine sotto i glutei, e il supermercato comodo sotto casa.
Il primo colpo me lo ha dato Mauro. Dice di avere speso tempo e risorse proprie (economiche e di sapere) per provare a indicare una via differente. Ho pensato: “bravo! Così si fa!” Si dimostra CON IL SAPERE E CON I FATTI che esistono vie alternative. Poi però cade: “I soliti vecchi del luogo, simbolo perfetto del pensiero comune”.
No Mauro, il pensiero comune non è quello dei vecchi ciondolanti al bar. Quello è il pensiero “morente”, quello che ci ha consegnato dei posti come Poranceto, e sopratutto quello che ha formato i nostri valori più profondi e per questo, credo, vada difeso.
Il pensiero comune è quello della massa dei tanti “naturalisti in pantofole”. Un pensiero che a me sembra arrogante e superficiale dove chi “non fa” pretende di avere la verità in tasca e di insegnarla a “chi fa”, sfociando – talvolta – in forme di schiavismo latente. Esempi di “schiavitù” indotta dal pensiero comune in questo mondo consumistico ce ne sono a decine. La gente che ha coltivato Poranceto è uno, ma per essere più chiari ne farò un’altro.
Salviamo i lupi dai! Tutti assieme la domenica (se non piove però) andiamo a manifestare per la reintroduzione del canide! Il pensiero comune però qui si ferma non pensa alla violenza che impone a chi vuole(deve) vivere di pastorizia. Introdurre il Lupo significa costringere i pastori (che sono persone) a vigilare il gregge giorno e notte, disarmati per giunta visto che al lupo non si può fare male.
Lo razionalizza il pensiero comune che oggi nessuno – compresi ambientalisti e poeti – si augura di passare la propria vita in cima a una montagna in mezzo a un greggie di pecore e cani? Non credo, perchè non è “bucolico” pensare che oggi chi porta le pecore al pascolo vuole lasciarle li per tornare a riprenderle dopo giorni. Il mercato infatti gli “consiglia” di fare altri lavori per guadagnare di più e potere comprare il terzo videofonino o la nuova nikon.
In sintesi “imporre” il lupo vuole dire imporre a persone deboli, perchè pastori tutto l’anno, rinuncie che i portatori della cultura comune difficilmente sarebbero disposti a fare. E questo – fuori da giudizi di valore sul desiderare di possedere una nikon o 3 videofonini…
Dimenticavo: se qualcuno pensa di conciliare lupo e pastori (castagni e castanicoltori) potrebbe pensare a risarcimenti per le pecore sbranate (o contributi alla bellezza silvestre) . Sbagliato c’è il pareggio di bilancio in costituzione!
Il colpo di grazia me lo hanno dato Andrea e gatto Silvestre con il …”Credo che certi posti debbano rimanere nascosti alle persone che non possono capirli.”
Ma chi decide chi è che capisce? I due? E Paolo, che ci ospita, ne capisce? Decide anche lui dove mettere i divieti? E il professore di paesagistica applicata dove lo mettiamo? Magari decide che gatto Silvestre “non capisce” e gli vieta l’accesso a Poranceto!
Mi sembrate i paladini della natura cittadina, quelli del: “vergogna! Non si sale sugli alberi!”
E poi avrei anche un’ultimo quesito: se vietiamo a cani e porci (magari ciondolanti le teste al bar) di frequentare certi luoghi, chi ci mettiamo per “manutenerli”?
Dove troviamo il servo della gleba che vive e lavora a Poranceto seguendo i nostri dettami sul “come si pota?”. Chi ci permetterà di trovare tutto a posto quando visitiamo Poranceto la terza domenica di maggio, magari per farci il convegno? (sempre se non piove però).
Non cercatelo su Giove vi prego!
Kong zhong, Ho letto quello che hai scritto. E per me è si.
Caro Kong,
perché ha tanto bisogno di prendersela con qualcuno? Le sue sono valutazioni estremamente interessanti. A volte impertinenti, altre non pertinenti (lupi e percore come castagni e castanicultori? Macchinose decisioni burocratiche con scelte private che scuotono la sensibilità altrui? Sarà…). Ma, insomma, se sceglie di discutere o ci sta e accetta le regole o si sfila senza fare il broncio. Le considerazioni sulla bellezza creata dal lavoro degli altri, dalla fatica degli altri, sono degne di rispetto e di condivisione: si attenga per favore al rispetto verso chi crede che i parametri da introdurre siano anche altri. O altri.
La bellezza, o l’intenzione della bellezza, genera benessere, civiltà, economia. Qualcuno la indaga ovunque sia possibile, sia quando è destinato a produrla, sia quando è costretto a inseguirla nelle opere degli altri. Se nella sua vita ciò è aspetto trascurabile, se ne prenderà atto.
In quanto al riservare i tesori ai campi e i segreti agli innocenti, esiste qualche migliaio di anni di tradizioni al riguardo, con tanto di percorsi di avvicinamento alla verità o alla sacralità, non esclusivi ma selettivi. Serve ripeterli?
GS
salve a tutti,
sono mauro, il climber che ha ingenuamente riacceso la miccia sotto il fuoco del poranceto. Ero rimasto perplesso ed un po’ amareggiato dalla risposta di Silvio che, intingendo il pennino nell’acido muriatico, aveva delineato un ritratto secondo me non proprio rispondente (quanto mi piace però leggere una penna velenosa e dotata di umorismo graffiante!).
Poi leggo Kong da Giove, e col solito ritardo mi decido a scrivere di nuovo.
Perché Kong dice una cosa che condivido in pieno, ed una molto meno.
Kong dice che mentre voi (o magari noi, mi ci metto anch’io senza remore nel mucchio) stiamo qui a discutere su chi sia degno o meno di accedere all’esclusivo club dei meritevoli di frequentare il Poranceto, là fuori le cose cambiano. E tra una discussione, un ciondolio ed un bicchier di vino, e tante vacue polemiche, arriva alla fine che un bel giorno, recandoci al Poranceto per una consueta gita rilassante, ci troviamo il nuovo centro commerciale I Castagni, con parcheggiomilleposti e svincolo comodo all’autostrada. Siamo quattro gatti ad apprezzare la meraviglia che ci circonda: spelacchiati, dispersi e pure litigiosi. In un mondo che si sta divorando da solo, dove l’assedio ai santuari naturali diviene ogni giorno più sacrilego e stringente, forse occorre portare tante persone a riscoprire la bellezza, forse occorre affollare il Poranceto, e provare, con umiltà, a mostrare una via diversa per il rispetto di noi stessi e dei nostri simili: una via che passi attraverso l’amore e l’ammirazione per la terra di cui facciamo parte.
Vedi, caro Silvio, mi riuscirebbe difficile esprimere queste cose attaccato ai pali della luce di Piazza Maggiore; e per quanto riguarda marketing e target, li mastico con la medesima disinvoltura con cui mi districo tra spread e rating: non è roba per me. Me la cavo già molto meglio con le coliche da castagnaccio.
Per quanto riguarda il lupo, ancora sulle parole di Kong, ritengo che faccia parte della nostra terra, e della nostra cultura, proprio di quella cultura morente di cui dici. Non sono allevatore, non so delle pene e delle lotte per proteggere il gregge; ma capisco.
Posso solo dire che il lupo nessuno lo sta reintroducendo; lo sta facendo da solo, sta ripopolando la dorsale appenninica e, per sentieri occulti, anche l’arco alpino. Sta tornando in possesso di ciò che era suo, dei suoi luoghi. L’auspicio è che, se guerra deve essere per garantirsi la sopravvivenza, che almeno guerra sia, e non sterminio. Sotto il profilo ecologico, occupando un posto di primaria importanza nella catena alimentare, svolge un ruolo fondamentale nell’equilibrio di un ecosistema: in soldoni, più lupi ci sono e meno cinghiali devasteranno il mio orto; più è forte il branco, maggiori chance avranno i giovani germogli del bosco di diventare piante adulte, e di rigenerare con dignità la caduta dei grandi patriarchi arborei. Dove il lupo non è stato oggetto di demonizzazioni perverse, i popoli che con lui hanno convissuto, e che inevitabilmente contro di lui hanno combattuto, sono stati capaci di tributargli i massimi onori, traendo ispirazione ed esempio dalla sua vita di branco per l’organizzazione e la gestione delle loro beghe sociali, riconoscendogli pure un ruolo di guida spirituale, e di tramite per la conoscenza e l’interpretazione del mondo, tanto quello dei vivi, come quello dei morti.
Non credo sia saggio osteggiare il lupo: ho il sospetto che, come degli alberi, la nostra vita non ne possa fare a meno. E basterebbe solo questo dubbio, anche accantonando la mia personalissima ammirazione per il lupo, per ritrovarmi ben felice di mettermi le mani in tasca e contribuire al giusto risarcimento pubblico di chi subisce danni. Magari, ed anche con gran gusto, a costo di qualche centimetro di autostrada in meno.
Per finire, cari Paolo e Silvio, non so che età abbiate voi: la mia è quella che, per i propri errori, non può più far appello a leggerezze di giovinezza, e mi trova a dover essere, mio malgrado, o per mia fortuna, pienamente responsabile di quanto dico e faccio: le esibizioni funamboliche del Poranceto non le considero una vetrina per divi (per una vetrina si può immaginare luogo più romito?); caso mai il mio modesto tentativo di condividere cose che so e cose che sento. Così, tanto per cercare di consegnare ai miei figli un bosco, e non un fiammante centro commerciale…
Caro Mauro, apprezzo molto quanto scrivi, per il tono e per il contenuto. Grazie 🙂 Sono in un’età nella quale il pensiero di cosa lasciare comincia a ronzare e il tuo proposito boschivo calza a pennello. Buona estate 🙂
ringrazio per l’apprezzamento. mi piacerebbe sentire anche le altre campane.
saluti a tutti