Molto vicina e radicalmente lontana

Oggi ero con i bambini del nido e della materna dell’Atelier dei Piccoli per aiutarli con il loro orto: abbiamo raccolto bietole, scacchiato pomodori, controllato porri e patate… Tutti conoscevano e distinguevano, ma poi siamo passati in giardino e qui i nomi delle piante nessuno li sapeva.
Io ho iniziato a classificare come fanno gli adulti, in latino, ma ho chiesto anche ai bimbi e alle educatrici di proporre i loro nomi e allora abbiamo fatto un gioco a scovarli: Peroscimmia, CastaCaterina, Acerebelle… Mi sono divertito: ci siamo divertiti.
Tornando a casa ho buttato l’occhio sulle pagine di un romanzo letto tanti anni fa e un passo mi ha catturato:
… Ho preso per il viottolo di sinistra, verso il centro del paese. Faccio attenzione a non ferirmi con tutti questi rovi e piante selvatiche. Cerco di armonizzare i movimenti del corpo al respiro, che si fa largo e profondo. L’aria è pulita, inconsistente. Qualche volta, mentre procedo con un senso di freschezza che cammina con me, mi fermo a guardare un albero o dei fiori. Purtroppo, non conosco i loro nomi, non riesco a distinguerli. La natura mi appare come un tutto unico, una suite di cui è difficile stabilire i singoli movimenti. La sento, in pari tempo, molto vicina e radicalmente lontana. Quando vivevo qui, non me ne importava nulla della campagna e del mondo vegetale. Non mi interessava poter dire: Olmo o Eucalipto. Desideravo invece riconoscere autobus e taxi, cinema di prima e di seconda visione, fermata del metrò, tangenziali, quartieri. Desideravo l’universo delle metropoli, la sua aria viziata, lo smog. Mentre cammino, passano nella memoria le parole di tanto tempo fa: neon, sentirsi anonimi, essere liberi, condominio, telefono, milioni di abitanti…
Mi piacerebbe, adesso, recuperare una qualche intimità col paesaggio, avvicinarmi a una piccola pianta e sussurrarle adagio: Timo e, Agave e, Mentuccia. Vorrei accostare l’orecchio a queste foglie e ascoltare in silenzio il lieve ronzio di ogni loro funzione. Per un attimo mi sento una specie di analfabeta che, in poche lezioni, vorrebbe colmare un’ignoranza ormai definitiva…
Mario Fortunato, Il primo cielo, Torino, Einaudi editore, 1990, p.7,8.
Ecco il tema della nostalgia di natura, un rimpianto per un rapporto mancato, percepito come possibile ma mai approfondito. Si, é un peccato non conoscere, non frequentare la natura e al di là dei rimorsi che ci possono assalire da adulti una cosa mi sento di dire: vale sempre la pena cominciare, provare. E’ un gioco senza fine e l’inconsapevolezza è al peggio una prospettiva.
La natura è e rimane, a noi, molto vicina e radicalmente lontana. A me questo non dispiace, anzi…
A due anni e mezzo i bambini conoscono benissimo-e distinguono- i nomi dei dinosauri. Anche quelli più complicati. E guai a confondere un Archaeopteryx con un Triceratopo! Dunque perché non i nomi delle piante? Il problema è che non li sappiamo :-D. Ma buona occasione per impararli. O no?
Ciò che manca alle piante per entrare nell’immaginario infantile è una natura simile all’umano, al mammifero. Sono forme di vita molto diverse e più ne capiamo più quasi ci spaventiamo. Hai letto Emanuela gli studi sugli ocelli? Piante (ad esempio Boquilla trifoliata) che sarebbero in grado di esercitare vere e proprie forme di visione… Cavolo: vuoi vedere che ci sono quelle più pericolose di un T. rex?
Grazie Paolo, come sempre, un Tuffo nel bambino dentro e nella natura. Grazie mille Andrea
Se qualcosa mi piace e mi rallegra da anni è la memoria dei nomi delle piante, piccola rivincita personale su tutte le altre cose che scordo. Mi ritrovo ad elencare nomi latini tra me e me, è un ritrovarmi in me stessa in quella che ero, un ricordo interiore che mi rende partecipe e rallegra. Grazie per il piacere di lettura generosamente offerto da anni.
Andrea, Patrizia: Grazie 🙂