Per i famigliari più stretti…

Aritzo, luglio 2020
La vegetazione del territorio di Aritzo é talmente splendida e lussureggiante che all’occhio del viaggiatore questo sembra il giardino della Sardegna.
É inseguendo fantasie personali dietro questa frase scritta nel 1834 dal francese Antoine-Claude Pasquin che siamo qui, io e mio figlio Ettore, oggi. L’idea é di percorrere il territorio seguendo il tratto di fiume che lo attraversa. Sempre quel Flumendosa che avevamo lasciato due anni fa tra Seulo e Gadoni.
Ma ormai abbiamo imparato: sulle montagne sarde i sentieri non sono facili… Indicazioni CAI si mescolano ai cartelli forestali dei tanti cantieri. Facile confondersi e così prendere una tratta dei pastori, finire in un ovile o una radura…
Certo chi questo territorio lo vive come sostentamento e non come ricreazione, non ha bisogno di indicazioni e temo anche non simpatizzi troppo verso un segnavia CAI, men che meno per chi ha tempo e desiderio di luoghi ameni…
Decisi ad ottenere informazioni partiamo dal centro del paese: visitiamo le strutture del locale museo etnografico. Incontriamo uno dei curatori, Armando Maxia, che con passione ci introduce alla storia del complesso delle carceri spagnole e alla residenza della famiglia più in vista del paese: i signori della neve di Casa Devilla.
Armando ci indica anche la via del sentiero che cercavamo… Nel congedarci acquisto una sua pubblicazione, uno studio di antropologia culturale sul territorio; il riferimento che troverò alle Indicator Plants come strumento d’indagine per la storia e l’archeologia dei boschi e dei pascoli sarà una piacevole scoperta.
Uscendo dall’abitato ci colpisce una bandiera d’Italia, sola, non accompagnata dal vessillo sardo, men che meno da quello europeo. Esposta in piena vista su un balcone di legno di una casa storica in pietra di scisto fa un certo effetto. Un sospetto di braci non ancora spente…
Finalmente ci inerpichiamo sulla strada che dovrebbe portarci al sentiero, ma é tardi, il percorso é lungo e per questo decidiamo di rinunciare.

Alla sera condivido con Ettore un libro fotografico che ho portato.

Sono passati alcuni anni dalla pubblicazione dei miei children@nature su Flickr. Mi piace l’idea di ragionarci insieme e la scoperta di questo lavoro mi é sembrata una buona occasione.
Anch’io come Sally Mann ho ripreso in contesti di natura i miei figli, ma i 65 scatti che compongono Immediate Family sono profondamente diversi. Sono fotografie di posa realizzate tra il 1984 e il 1991 nelle zone rurali della Virginia, dove la Mann e i bambini hanno trascorso la loro infanzia.

Virginia, Jessie ed Emmett sono più volte mostrati nelle loro nudità, alcune lievi ferite, un taglio, un occhio nero, ma quello che colpisce di più, come mi suggerisce Ettore, é il loro sguardo fiero, diretto in macchina o all’opposto totalmente negato.


In qualche modo questi ritratti parlano al nostro essere genitori. Ci presentano l’alteritá fiera e fragile dell’infanzia umana. Molte immagini cercano le fratture, le incertezze, esplorano l’eterna lotta tra la dipendenza e la ricerca di autonomia: la presa e la rottura. Altre percorrono le trame sottili che ci legano ai luoghi, alla vita. A queste va la mia preferenza.

Riflettendo, questi bambini sembrano personaggi di una Iliade, moderna nei tratti, eterna nei contenuti; vedo impazienza, fragilità, scoperta di sé, dolore, vulnerabilità, giochi di ruolo, su tutto un senso di immortalità.
A questo punto mi confronto: cosa ho raccontato io nel fotografare i miei figli, quale narrazione ho imbastito… Riconosco di aver fuggito l’elemento tragico, greco, ho cercato, con un filtro da Cosimo Piovasco, l’aspetto creativo, l’imprevisto, la miccia che genera gioia, piacere di vivere.
Visivamente é stato il gesto a scalare un cavo di castagno, il piacere di un bagno in un’acqua termale, il rotolarsi in una distesa d’erba, il salto dalla rupe, una battaglia di pigne. Cose semplici, possibili.
Ho cercato lo stupore, la meraviglia della scoperta del mondo, l’esperienza di una prima fratellanza in ambienti di natura accogliente…
Bambini sul limitare dello sguardo adulto, saltellanti tra ombra e luce, con i loro primi passi fuori dalla tana famiglia, dal guscio cameretta e soprattutto dall’immaginario digitale…
Scorrendo oggi le immagini trovo con piacere le cose che in qualche modo desideravo testimoniare: ma anche in filigrana la mia storia di figlio unico, confinato per lunghi pomeriggi d’inverno in una cameretta d’appartamento.
Devo un ringraziamento particolare ad Emanuela Bussolati per tutte le ore passate a ragionare su questi scatti e sull’idea di coltivare insieme una lieta selvatichezza.
Con Emanuela non abbiamo realizzato tutto quello che ci eravamo proposti: mostre, pubblicazioni, ma tutto sommato grazie alla rete il nostro pensiero é passato.
L’associazione Bambini e Natura con la quale collaboriamo ha in sé tutto il nostro spirito e tanto altro.
A me, alla nostra famiglia, rimane un racconto per immagini, condiviso come si usa oggi in rete, che parla di noi, a noi innanzitutto. Alla nostra volontà, al piacere di essere insieme.
Una eredità per i famigliari più stretti…

….sempre intelligente…profondo e come una freccia colpisci cuore e mente..grazie Paolo di questi frammenti di Vita.
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