Volere un giardino

“Da bambina non volevo le bambole, e nemmeno i pantaloni. Volevo un giardino.”

Volere un giardino, per i più, è volere una scena, un luogo d’incontro: dove sei? Dove siete? Mi vedete? Per altri è un luogo d’individuazione, la stanza tutta per me dalla quale sognare un mondo più gentile e colorato.

Il giardino è un luogo umano, profondamente diverso dall’ambiente selvatico anche se da esso trae origine, linfa. Non sono sicuro -come Pia del resto- che coltivando un giardino si coltivi la felicità. Certo si è mossi da un’idea, una speranza di felicità all’interno di un quadro di bellezza.

Il giardino è una finzione consapevole, è capacità di sguardo, relazione: so don’t things it’s just about flowers (non pensare sia solo un affare di fiori) scriveva Margaret Atwood nella poesia  Sor Juana Works in the Garden ed è sicuramente così, anche se non sappiano bene che cosa realmente di più ci sia nel nostro coltivare belle piante in calcolati spazi. Ce lo siamo detti sabato a Riccione alla presentazione dell’ultimo libro di Pia Pera  Giardino&Orto terapia – Coltivando la terra si coltiva anche la felicità .

A Riccione ho detto anche che il giardino non salva, non salva la nostra caducità, non guarisce le malattie, quelle vere, ma al di là di queste banalità, che di questi tempi pur vanno dette, non so andare. Il giardino, la natura per noi, si esaurisce o no, in un moto di bellezza? Se chiudo gli occhi e spengo i motori e sono lì  tra i muschi o le sabbie, tra il bianco cardamine o l’azzurro eringio, so scordare le nostalgie, il senso di solitudine che si prova qui,  su questa terra? E lontano dai miti, i luoghi salvifici, so pulire la mente e lasciare lo sguardo morbido sul mare della crescita?

Tutto in un semplice giardino.

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