…lieta selvatichezza
Cara Luciana parto da quel “lieta” che tu hai posato accanto a “selvatichezza”; sappi che non riesco più a staccare queste due parole…
Sull’onda dei commenti al post precedente tento una piccola riflessione. Innanzitutto preciso i termini.
La selvatichezza è la condizione di chi è selvatico, implica scarsità e quindi durezza, lotta, competizione: vivere nella selva non è semplice… Allietare questa condizione, alleggerendo le spine, godendo i frutti, condividendo la bellezza, partecipando al vigore della vita che pulsa, è un’espressione di umanità.
Ci si riconosce in un mondo, si sta al gioco, al compenetrarsi delle forme, alla precarietà, all’orrore splendido che ci circonda. Si sta con una proposta: ampliare la vita a noi non ostile, un mutuo soccorso con chi e cosa ci è favorevole. Anche da qui l’amore verso i vegetali del cui scarto (l’ossigeno) viviamo. Vegetali che per primi si sono proposti con incredibili offerte (come non pensare alla misteriosa e improvvisa comparsa sulla terra di fiori e frutti, rovello del povero Darwin).
Il mutuo soccorso è una strategia di sopravvivenza che troppo spesso dimentichiamo; per noi può essere anche qualcosa di più, uno stile, un’indicazione di cammino, un’etica. La selva è ostile, addolcirla a bosco, a coltivo, a giardino è la nostra attitudine: godere delle mille e più mani che hanno lavorato per rendere a noi le cose “vivibili/godibili/commestibili” è una esperienza stupenda.
Con questa emozione di “esserci come umanità” il mistero della natura è ancora più affascinante, coinvolgente, degno di essere vissuto. Non potremmo comprendere e godere appieno la vita che ci circonda se non contemplando il nostro evolvere, pulsare “con”. Come dice Emanuela
…arrampicarsi, appiccicarsi con la resina, sentire il profumo del legno vivo, dei frutti, schifarsi o incuriosirsi di zampette, antenne…
…è provare la vita che ci circonda, base sana per ogni astrazione. Certo ogni periodo ha le sue opportunità e sue sfortune: sono d’accordo con Kong nel dire che i luoghi e i modi oggi sono molto lontani e diversi da quella che ha conosciuto la mia generazione come del resto molto diverso era l’orizzonte di chi ci ha preceduto. Di nuovo oggi c’è la sottrazione dell’ambiente: non tanto perché gli spazi sono ridotti ma soprattutto perché sono abbandonati, non più abitati, vissuti. La natura per molti è un vuoto da attraversare… e magari per un bambino, da attraversare con il conforto di un Nintendo DS o di un mazzo di carte Yu-gi-ho.
Senza terra i pensieri vagano e si finisce con il formare generazioni afflitte dal “paradosso del mattatoio” e dalla “sindrome di Bambi”. “Il paradosso del mattatoio”, è quel modo di pensare per il quale il bovino e la scaloppina sono cose buone, brutto e cattivo è quell’anello di congiunzione chiamato mattatoio, o in variante vegetale, ad esempio, piantare è bello, tagliare no. La motosega è il segno dell’orco: irrimediabilmente cattiva per chi non comprende i cicli della vita e le nostre fonti di sostentamento. La “sindrome di Bambi”, il tenero capriolo da proteggere e curare e non toccare, dilaga: la natura è un peluche da adottare.
Io credo invece che la natura sia tosta: credo che pagheremo e già stiamo pagando i conti della nostra scarsa lungimiranza, del nostro sbandare e sprecare. Cosa dire a un bambino di tutto questo: poco e nulla. Non capirà che “natura” significa anche incontrare spine e fatiche. A un bambino è necessaria la prova, se ci saranno le condizioni la sua naturale curiosità e apertura lavoreranno. Sarà il magnifico spettacolo della vita, uno spettacolo da condividere, la ricompensa per l’ardire. Sarà il nostro “essere vicino” il calmante che lenirà le punture e le fatiche.
Certo Equipaje ad ognuno i suoi modi, la sua sensibilità: Italo Calvino è stato da bambino una delusione per i genitori illustri botanici che ne sognavano un appassionato naturalista. Eppure proprio quel bambinetto schivo che preferiva la biblioteca all’aria aperta ha scritto da adulto alcune delle pagine più belle e struggenti sull’ambiente.
Ok, il sonno mi sta vincendo: mi fermo.
Un saluto grande e un grazie di cuore della vostra attenzione 🙂
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2 Responses to “…lieta selvatichezza”Trackbacks
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[…] Dorigo appassionato fotografo a cui va tutto il mio personale apprezzamento per chiosare quella definizione di selvatichezza che vado promettendo. Io, ad oggi, lontano dai dizionari, la selvatichezza la declinerei […]
Già… fai riscoprire i ricordi di bambino. Ma quanto è difficile distogliere dalla playstation o dal nintendo ds ! Io ho comiciato con il dare ai miei figli la canna dell’ acqua con il piacere di bagnare e bagnarsi, poi con lo sporcarsi di terra. Quanto piacere mi dà vederli cogliere spontaneamente il grappolo d’uva o il pomodoro e papparselo. Come godo vederli con gli amici sul “rifugio” costruito da loro sull’ albero con le relativa trappole per gli intrusi. Quanto piacere mi dà avere passato loro il disprezzo per un grande quanto inutile supermercato ( in cui non mi reco per protesta) e per il borgo che sorge DESERTO da due anni sui grandi campi di grano e orzo che ricordavano “I Papaveri” di Monet e che delimitavano la città.